[incluso ALBUM ZUTIQUE in italiano & français] INDICE:
I DESERTI DELL'AMORE AVVERTENZA
Questi scritti sono di un giovane, giovanissimo uomo, la cui vita s'è sviluppata ovunque, senza madre, senza paese, incurante di tutto ciò che si conosce, in fuga davanti ad ogni forza morale, come già lo furono parecchi uomini degni di compassione. Ma lui, così annoiato e turbato, non fece che giungere alla morte come a un pudore terribile e fatale. Non avendo amato donne, - benché pieno di sangue! - ebbe la sua anima e il suo corpo, tutta la sua forza, educati in errori strani e tristi. Dai sogni seguenti, - i suoi amori! che fece nei letti o per le strade, e dal loro proseguimento e dalla loro fine, scaturiscono dolci considerazioni religiose. Forse si ricorderà il sonno continuo dei leggendari Maomettani, - e tuttavia valorosi e circoncisi! - Ma poiché questa bizzarra sofferenza possiede un'autorità inquietante, bisogna sinceramente desiderare che quest'anima, smarrita fra tutti noi, e che voleva la morte, trovi in quell'istante serie considerazioni, e sia dignitosa!
PROSE EVANGELICHE
A Samaria, molti hanno manifestato la loro fede in lui. Egli non li ha visti. Samaria [s'inorgogliva] la parvenu [la perfida], l'egoista, più rigida osservante della sua legge protestante che Giuda delle antiche tavole. Lì la ricchezza universale consentiva ben poco a una discussione illuminata. Il sofisma, schiavo e soldato dell'abitudine, aveva già sgozzato, dopo averli lusingati, parecchi profeti.
ALBUM ZUTIQUE [solo italiano / Italian only] GIGLI O fandonie! o gigli! clisopompe d'argento! Sdegnosi dei lavori, sdegnosi della fami! L'amore vi riempie di un amore detergente! Una dolcezza di cielo imburra i vostri stami! ARMANDE SILVESTRE A. R. LE LABBRA CHIUSE VISTO A ROMA C'è a Roma, nella Sistina, Coperta di emblemi cristiani, Una cassetta scarlattina Dove seccano antichissimi nasi: Nasi d'asceti di Tebaide, Nasi di canonici del Santo Graal Dove si rapprese la notte livida, E il vecchio canto sepolcrale. Nella loro mistica secchezza, Ogni mattina introducono L'immondizia scismatica Che si riduce in polvere fine. LÉON DIERX A. R. Occupavo un vagone di terza; un vecchio prete Uscì una pipaccia e mise alla finestra Verso le brezze, la sua fronte calma dalla pallida peluria. Poi quel cristiano, sfidando gli insulsi scherni, Voltatosi, mi fece la domanda energica E triste allo stesso tempo d'una piccola cicca Di tabacco, - essendo stato capo cappellano Di un rampollo reale nuovamente condannato; - Per rimestare la noia d'un tunnel, oscura vena Che si offre ai viaggiatori, presso Soissons, città dell'Aisne. Preferisco senza dubbio, in primavera, la trattoria Dove germoglia il ramoscello dei castani nani, Verso i prati stretti e comunali, nel mese di maggio. Cagnolini più volte scacciati Vengono dai Bevitori a triturare i giacinti delle aiuole. Ed è, fino alle sere di giacinto Sul tavolo d'ardesia dove, l'anno settecentoventi Un diacono incise il suo soprannome latino Magro come una prosa sui vetri di chiesa La tosse dei neri flaconi che non li inebria mai. FRANCOIS COPPÉE A. R. L'Umanità calzava il vasto fanciullo Progresso. LOUIS-XAVIER DE RICARD A. RIMBAUD L'ANGIOLETTO MALEDETTO Tetti bluastri e porte bianche Come nelle domeniche notturne, All'estremo della città senza rumore La Strada è bianca, ed è la notte. La Strada ha strane case Con persiane d'Angeli. Ma, verso un paracarro, ecco Accorre, malvagio e intirizzito, Un nero angioletto, titubante Per le troppe giuggiole mangiate. Fa la cacca: poi scompare: Ma la sua cacca maledetta pare, Sotto la santa luna che vaga, Di sporco sangue una lieve cloaca! LOUIS RATISBONNE A. RIMBAUD Le sere d'estate, sotto l'occhio ardente delle vetrine, Quando la linfa freme sotto le oscure grate Irradiando ai piedi gracili castani, Fuori da questi gruppi neri, allegri e caserecci, Fumatori di pipe o baciatori di sigari, Nel chiosco semi-pietra stretto dove mi perdo, - Mentre in alto rosseggia un annuncio d' Ibléd, - Penso che l'inverno ghiaccerà il Tibet D'acqua pulita che gorgoglia, placando l'onda umana, - E che l'aspro vento non risparmia alcuna vela. FRANCOIS COPPÉE A. RIMBAUD LA SCOPA È un'umile scopa di saggina, troppo dura Per una stanza o per la tinta di un muro. L'uso è miserevole e non bisogna riderne. Radice strappata a qualche prato antico Secca il suo crine inerte: e il suo manico è sbiancato. Come un legno d'isola alla canicola arrossato. La cordicella sembra una treccia ghiacciata. Amo di questo oggetto il sapore desolato; E vorrei lavare i tuoi ampi bordi di latte, O Luna dove lo spirito delle nostre Sorelle morte si diletta. F. C. LE RIMEMBRANZE DEL VECCHIO IDIOTA Perdono, padre mio! Da giovane, alle fiere di campagna, Cercavo, non il tiro banale dove si guadagna a ogni colpo, Ma il luogo pieno d'urla dove gli asini, sfiancati, Dispiegavano quel lungo tubo sanguinante Che ancora non comprendo!... E poi mia madre, Con la camicia dall'amaro sentore Benché sgualcita in basso e gialla come un frutto, Mia madre che saliva sul letto facendo rumore - Comunque figlio del lavoro, - mia madre, con la coscia Di donna matura, e i grossi fianchi dove la biancheria Si raggrinza, mi diede quei calori di cui non si dice!... Era una vergogna più cruda e più calma quando La mia sorellina, di ritorno da scuola, Dopo aver consumato gli zoccoli sul ghiaccio, Pisciava, e guardava sfuggire da quel labbro in basso Stretto e rosa, un filo d'orina lezioso!... Oh perdono! A volte pensavo a mio padre: La sera, il gioco a carte e le frasi salaci, Il vicino, e io, messo da parte, cose viste… - Perché un padre è inquietante! - e le cose immaginate!... Il suo ginocchio, affettuoso a volte; i suoi pantaloni Di cui il mio dito desiderava aprire la fessura… - oh! no! - Per avere la punta, grossa, nera e dura, di mio padre, La cui mano villosa mi cullava!... Voglio tacere Il vaso, il piatto col manico, intravisto in solaio, Gli almanacchi coperti di rosso, la cesta di filacce, E la Bibbia, e i luoghi, e la serva, La Santa Vergine e il crocifisso… Oh! nessuno Fu così spesso turbato, come sorpreso! E adesso, che il perdono mi sia concesso: Poiché i fetidi sensi mi hanno reso vittima, Io mi confesso rivelando i miei giovani delitti!... . . . . . . . . . . . . . . E poi! - mi sia permesso parlare al Signore! Perché la pubertà tardiva e la sfortuna Del tenace glande e troppo consultato? Perché l'ombra Così lenta al basso ventre? e questi terrori senza fine Che sempre riempiono la gioia come nera ghiaia? - Quanto a me, sono sempre stato stupefatto. Che sapere? Perdonato? Riprenditi il reggipiedi blu, Padre mio. Oh che infanzia! . . . . . . . . . . . . . . . . . . - e tiriamoci la coda! FRANCOIS COPPÉE A. R. PROSE E VERSI DI COLLEGIO
Prologo è un singolare componimento scolastico pubblicato per la prima volta da Paterne Berrichon nella sua Vita di Jean-Arthur Rimbaud (1897). Il testo figura in un quadernetto di otto foglietti, formato 14,5 x 20 cm, con una scrittura poco curata, macchie d'inchiostro ed errori di ortografia. E tuttavia, sorprendentemente, vi ritroviamo già alcuni dei temi che percorreranno l'opera dello scrittore maturo, come l'aperto disprezzo verso il lavoro e la società e i suoi atteggiamenti anticonformisti. La datazione è incerta. Si ammette generalmente, seppur con qualche riserva, che Rimbaud abbia redatto il componimento presso l'Istituto Rossat all'età di nove anni. La poesia Invocazione a Venere è stata invece ritrovata nel "Bulletin de l'Académie de Douai", fascicolo dell'11 aprile 1870. Questi versi hanno la particolarità di essere la puntuale ripresa della traduzione del De rerum natura di Lucrezio che Sully-Prudhomme aveva appena compiuto (maggio 1869). Le correzioni apportate ai versi di Sully-Prudhomme dall'alunno Rimbaud rivelano una straordinaria sicurezza di stile. Carlo D'Orléans a Luigi XI , infine, è un compito in classe assegnato dal prof. Izambard all'inizio del 1870, ricco di richiami alle opere di Villon. Venne pubblicato per la prima volta nella "Revue de l'Evolution sociale, scientifique et littéraire" del novembre 1891. INVOCAZIONE A VENERE CARLO D’ORLÉANS A LUIGI XI PROLOGO I Il sole era ancora caldo; eppure non rischiarava quasi più la terra; come una fiaccola posta davanti a gigantesche volte non le illumina che di un fioco bagliore, così il sole, fiaccola terrestre, si spegneva lasciando sfuggire dal suo corpo di fuoco un ultimo e debole bagliore, che tuttavia lasciava ancora scorgere le foglie verdi degli alberi, i fiorellini che scolorivano e la sommità gigantesca dei pini, dei pioppi e delle querce secolari. Il vento rinfrescante, cioè una brezza fresca, agitava le foglie degli alberi con un fruscio simile suppergiù a quello che faceva il rumore delle argentee acque del ruscello che scorreva ai miei piedi. Le felci chinavano la loro fronte verde. Mi addormentai, non senza essermi abbeverato all'acqua del ruscello. II Sognai che…………………………………… …… ero nato a Reims, nell'anno 1503. Reims a quel tempo era una cittadina o, per meglio dire, un borgo rinomato comunque per la sua bella cattedrale, testimone dell'incoronazione del re Clodoveo. I miei genitori erano ricchi, ma molto onesti; come beni non avevano che una piccola casa che gli era sempre appartenuta e di cui erano proprietari vent'anni prima che io nascessi, inoltre qualche migliaio di franchi, e bisogna anche aggiungere qualche luigino proveniente dai risparmi di mia madre… Mio padre era ufficiale nell'esercito del re. Era un uomo grande, magro, i capelli neri, barba, occhi, pelle dello stesso colore… Benché alla mia nascita non avesse più di 48 o 50 anni, gliene sarebbero benissimo potuti dare 60 o… 58. Era di carattere vivace, focoso, spesso collerico e non voleva sopportare niente che non gli piacesse. Mia madre era ben diversa: donna dolce, calma, si spaventava per un nonnulla, e tuttavia teneva la casa in un ordine perfetto. Era così calma che mio padre la faceva divertire come una signorina giovane. Io ero il prediletto. I miei fratelli erano meno forti di me e tuttavia più grandi: amavo poco lo studio, cioè imparare a leggere, scrivere e far di conto… ma se c'era da sistemare la casa, coltivare un giardino, fare commissioni, alla buon ora, questo mi piaceva. Mi ricordo che un giorno mio padre mi aveva promesso venti centesimi se gli avessi fatto bene una divisione; cominciai; ma non riuscii a finire. Ah! quante volte mi ha promesso dei… soldi, giocattoli, dolcetti, una volta anche cinque franchi, se avessi potuto… leggergli qualcosa… nonostante ciò mio padre mi mandò a scuola non appena ebbi compiuto dieci anni. Perché, mi chiedevo, imparare il greco, il latino? Non lo so. Insomma, non ce n'è bisogno! Che me ne importa di essere promosso… a che serve essere promosso, a niente, non è vero? Sì però dicono che non si trova un posto se non si è promossi. Io di posti non ne voglio, io vivrò di rendita. E se anche ne volessi uno, perché imparare il latino; nessuno parla questa lingua. A volte lo vedo sui giornali, ma grazie a dio non farò mai il giornalista. Perché imparare la storia e la geografia? E' vero, bisogna sapere che Parigi è in Francia, ma non ti chiedono mica a che livello di latitudine. Quanto alla storia, imparare la vita di Chinaldone, di Nabopolassar, di Dario, di Ciro, e di Alessandro e degli altri loro compari notevoli per i loro nomi diabolici, non è un supplizio? Che m'importa, a me, che Alessandro sia stato celebre? Che m'importa… Che ne sappiamo se i latini sono esistiti? Magari è una qualche lingua fabbricata; e anche se fossero esistiti, mi lascino vivere di rendita e si tengano la loro lingua! Che male gli ho fatto perché mi mettano al supplizio. Passiamo al greco… questa sporca lingua non è parlata da nessuno, nessuno al mondo!... Ah! perdincibacco di perdincibaccolina! Caspiterina io vivrò di rendita; non è mica bello consumare i calzoni sui banchi di scuola... perdincibacconcello! Per essere lustrascarpe, ottenere un posto di lustrascarpe, bisogna fare un esame, perché i posti che vi offrono sono di essere o un lustrascarpe o un porcaio o un bovaro. Grazie a Dio, io non li voglio, perdincibacco! E in più come ricompensa vi appioppano schiaffoni, vi chiamano animale, che non è vero, avanzo d'uomo, ecc. Ah! perdincibbacolina! Il seguito prossimamente. ARTHUR [1864?] INVOCAZIONE A VENERE Madre dei figli d'Enea, o delizia degli Dei, Delizia dei mortali, sotto gli astri dei cieli, Venere, tu popoli tutto: l'onda dove corre la nave, Il sole fecondo: tutto per ogni essere che respira Germoglia, si erge, e vede il sole luminoso! Tu appari… Alla vista del tuo volto radioso Scompaiono i venti e le nuvole oscure: L'oceano ti sorride; feconda in opere belle, La Terra stende i fiori soavi sotto i tuoi piedi; Il giorno brilla più puro sotto i cieli azzurri! Quando Aprile riappare, e, gonfio di giovinezza, Pronto a portare a tutti una dolce tenerezza, Il soffio di zefiro ha forzato la sua prigione, L'aereo popolo annuncia la tua stagione: L'uccello incantato subisce il tuo potere, o Dea; Il gregge selvaggio salta nell'erba folta, E fende l'onda a nuoto, e ogni essere vivente, Incatenato alla tua grazia, brucia mentre t'insegue! Sei tu che, per i mari, i torrenti, le montagne, I boschi popolati di nidi e le verdi campagne, Versando al cuore tutto l'amore caro e pulsante, Li porti di età in età a diffondere il loro sangue! Il mondo non conosce, Venere, che il tuo impero! Niente si potrebbe senza il tuo levarti al giorno: Nulla ispira senza di te, né prova amore! Al tuo divino aiuto nella mia opera io aspiro! A. RIMBAUD Esterno al Collegio di Charleville [1869] CARLO D'ORLÉANS A LUIGI XI
Sire, il tempo ha lasciato il suo manto di pioggia; i forieri dell'estate sono venuti: sbattiamo l'uscio in faccia alla Malinconia! Viva i lai e le ballate! Le moralità e le burle. Che i curiali del tribunale ci montino le farse dissennate; andiamo ad ascoltare l'insegnamento del Benaccolto e Malaccorto, e la conversione del chierico Teofilo, e come andarono a Roma San Pietro e San Paolo, e come vennero martirizzati! Viva le dame dai goletti rimboccati, che portano ricami e gioie! Non è vero, Sire, che bello è dire sotto gli alberi, quando i cieli si vestono d'azzurro, quando il sole riluce chiaro, i dolci rondò, le ballate cantate apertamente? Ho una rama della pianta d'amore, o Una volta ditemi di sì, signora Ha sempre la meglio l'amante ricco … Ma eccomi sbalordito, Sire, e lo sarete voi quanto me: Maestro François Villon, il buon faceto, il motteggiator cortese che rimò tutto questo, legato, nutrito a pane e acqua, piange ora e geme in fondo al Chatelet! Sarete appeso! gli hanno detto al cospetto del notaro: e il povero burlone tramortito ha scritto il suo epitaffio per sé e i suoi compagni: e i bei galanti di cui tanto amate voi le rime, si lusingano di danzare a Montfaulcon, becchime d'uccelli più che ditali, nella pioviggine e il sole! Oh! Sire, non per insensato piacere che Villon si trova là! Misere scope soffrono abbastanza! Chierici in attesa della nomina all'Università, perdigiorno, espositori di scimmie, suonatori di ribeca che il loro conto pagano in canzoni, cavalieri di séguito, poveri diavoli, mercenari che nascondono il loro naso in pignatte di stagno meglio che in elmi di guerra: poveri figlioli secchi e neri come spazzaforni, che non vedono pane se non dalla finestra, che l'inverno imbacucca di geloni, anno scelto maestro Francois per madre nutrice! Ora necessità fa la gente errare, e fame saltar fuori del bosco il lupo: forse lo Studente, un giorno di carestia, rubò dalla tinozza del macellai delle budella, per friggerle al Rinfresco Popin o alla taverna del Pestel? Forse al fornaio ha fregato una dozzina di pagnotte, o scambiato alla Pigna una brocca d'acqua pura con una caraffa di vino di Baigneux? Forse una sera di gran bisboccia al Plat-d'Étain, ha randellato la guardia al suo arrivo; oppure li abbiamo sorpresi, attorno a Montfaulcon, a una cena guadagnata in una lite, con una decina di donnacce? Questi i misfatti di maestro François! Perché ci mostra un grasso canonico che fa moine alla sua dama in una camera ben drappeggiata, perché dice che il cappellano si cura di confessare solo fantesche e dame, e consiglia alle devote, per burla bell'e buona, di far contemplazione sotto le cortine, lo studente matto, sebbene ridendo, vago come uno smeriglio, trema sotto gli artigli del gran giurì, questi terribili uccelli neri seguiti da corvi e gazze! Lui e i suoi compagni, poveri meschini! appenderanno un nuovo rosario d'impiccati ai bracci della foresta: il vento gli farà canzoni in mezzo al dolce fogliame sonoro: e voi, Sire, e tutti coloro che amano il poeta, potranno ridere solo piangendo alla lettura delle sue ballate liete: penseranno di aver lasciato morire il nobile letterato che cantava così perdutamente, e non potranno scacciare Melanconia!
(primavera del 1870) ALBUM ZUTIQUE français seulement (solo in francese) ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~
Il s'agit d'un album de 48 pages, composé de poésies écrites par Verlaine et ses amis, qui se retrouvaient périodiquement
à L'Hôtel des Étrangers, boulevard Saint-Michel, à l'angle des rues Racine et de l'École-de-Médecine, dans une chambre du
troisième étage, pour blaguer, fumer, boire, réciter des vers, et même jouer du piano : le groupe des Vilains Bonhommes.
Par la suite, il fut renommé Cercle Zutiste (ou Zutique), par
Charles Cros. Lys Les lèvres closes. Vu à Rome Fête galante J'occupais un wagon de troisième... Je préfère sans doute... L'humanité chaussait... Conneries: - I Jeune goinfre - II Paris Conneries 2e série: - I Cocher ivre Vieux de la vieille État de siège ? Le balai Exil[s] L'angelot maudit Mais enfin, c'... Les soirs d'été... Bouts-rimés Aux livres de chevet... Hypotyposes saturniennes, ex Belmontet Les Remembrances du vieillard idiot Ressouvenir L'enfant qui ramassa les balles... ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ L'IDOLE. SONNET DU TROU DU CUL [The Idol] Obscur et froncé comme un oeillet violet Il respire, humblement tapi parmi la mousse. Humide encor d'amour qui suit la fuite douce Des Fesses blanches jusqu'au coeur de son ourlet. Des filaments pareils à des larmes de lait Ont pleuré, sous le vent cruel qui les repousse, À travers de petits caillots de marne rousse Pour s'aller perdre où la pente les appelait. Mon Rêve s'aboucha souvent à sa ventouse ; Mon âme, du coït matériel jalouse, En fit son larmier fauve et son nid de sanglots. C'est l'olive pâmée, et la flûte caline ; C'est le tube où descend la céleste praline : Chanaan féminin dans les moiteurs enclos ! Albert Mérat. P.V.-A.R. Il existe une autre version du poème, parue dans "Hombres" de Verlaine, recueil publié "sous le manteau" chez Messein en 1903. LYS O Balancoirs ! ô lys ! clysopompes d'argent ! Dédaigneux des travaux, dédaigneux des famines ! L'Aurore vous emplit d'un amour détergent ! Une douceur de ciel beurre vos étamines ! Armand Silvestre. A.R. LES LEVRES CLOSES. VU A ROME [Lips shut. Seen in Rome] Il est, à Rome, à la Sixtine, Couverte d'emblèmes chrétiens, Une cassette écarlatine Où sèchent des nez fort anciens : Nez d'ascètes de Thébaïde, Nez de chanoines du Saint Graal Où se figea la nuit livide, Et l'ancien plain-chant sépulcral. Dans leur sécheresse mystique, Tous les matins, on introduit De l'immondice schismatique Qu'en poudre fine on a réduit. Léon Dierx. A.R. FETE GALANTE Rêveur, Scapin Gratte un lapin Sous sa capote. Colombina - Que l'on pina! - - Do, mi, - tapote L'oeil du lapin Qui tôt, tapin, Est en ribote... Paul Verlaine A. R. J'OCCUPAIS UN WAGON DE TROISIEME... J'occupais un wagon de troisième : un vieux prêtre Sortit un brûle-gueule et mit à la fenêtre, Vers les brises, son front très calme aux poils pâlis. Puis ce chrétien, bravant les brocarts impolis, S'étant tourné, me fit la demande énergique Et triste en même temps d'une petite chique De caporal, - ayant été l'aumônier chef D'un rejeton royal condamné derechef ; - Pour malaxer l'ennui d'un tunnel, sombre veine Qui s'offre aux voyageurs, près Soissons, ville d'Aisne. François Coppée A.R. JE PREFERE SANS DOUTE, AU PRINTEMPS... Je préfère sans doute, au printemps, la guinguette Où des marronniers nains bourgeonne la baguette, Vers la prairie étroite et communale, au mois De mai. Des jeunes chiens rabroués bien des fois Viennent près des Buveurs triturer des jacinthes De plate-bande. Et c'est, jusqu'aux soirs d'hyacinthe, Sur la table d'ardoise où, l'an dix-sept cent vingt, Un diacre grava son sobriquet latin Maigre comme une prose à des vitraux d'église, La toux des flacons noirs qui jamais ne les grise. François Coppée A.R. L'HUMANITE CHAUSSAIT LE VASTE ENFANT PROGRES L'humanité chaussait le vaste enfant Progrès. Louis-Xavier de Ricard. A. Rimbaud CONNERIES I JEUNE GOINFRE [Young Greedyguts] Casquette De moire, Quéquette D'ivoire, Toilette Très noire, Paul guette L'armoire, Projette Languette Sur poire, S'apprête Baguette, Et foire A.R. CONNERIES II PARIS Al. Godillot, Gambier, Galopeau, Volf-Pleyel, - O Robinets ! - Menier, - O Christs ! - Leperdriel ! Kinck , Jacob, Bonbonnel ! Veuillot, Tropmann, Augier ! Gill, Mendès, Manuel, Guido Gonin ! - Panier Des Grâces ! L'Hérissé ! Cirages onctueux ! Pains vieux, spiritueux ! Aveugles ! - puis, qui sait ? - Sergents de ville, Enghiens Chez Soi ! - Soyons chrétiens ! A.R. CONNERIES 2E SERIE I COCHER IVRE [Drunken Coachman] Pouacre Boit : Nacre Voit : Acre Loi, Fiacre Choit ! Femme Tombe : Lombe Saigne : - Clame ! Geigne. A.R. VIEUX DE LA VIEILLE ! Aux paysans de l'empereur ! À l'empereur des paysans ! Au fils de Mars, Au glorieux 18 mars ! Où le ciel d'Eugénie a béni les entrailles ! ÉTAT DE SIEGE? Le pauvre postillon, sous le dais de fer blanc, Chauffant une engelure énorme sous son gant, Suit son lourd omnibus parmi la rive gauche, Et de son aine en flamme écarte la sacoche. Et tandis que, douce ombre où des gendarmes sont, L'honnête intérieur regarde au ciel profond La lune se bercer parmi la verte ouate, Malgré l'édit et l'heure encore délicate, Et que l'omnibus rentre à l'Odéon, impur Le débauché glapit au carrefour obscur ! François Coppée. A.R LE BALAI C'est un humble balai de chiendent, trop dur Pour une chambre ou pour la peinture d'un mur. L'usage en est navrant et ne vaut pas qu'on rie. Racine prise à quelque ancienne prairie Son crin inerte sèche : et son manche a blanchi. Tel un bois d'île à la canicule rougi. La cordelette semble une tresse gelée. J'aime de cet objet la saveur désolée Et j'en voudrais laver tes larges bords de lait, O Lune où l'esprit de nos Soeurs mortes se plaît. F.C. EXIL[S]. .................................. Que l'on s'intéressa souvent, mon cher Conneau !..... Plus qu'à l'Oncle Vainqueur, au Petit Ramponneau !.. Que tout honnête instinct sort du Peuple débile !.... Hélas !! Et qui a fait tourner mal notre bile !.... Et qu'il nous sied déjà de pousser le verrou Au Vent que les enfants nomment Bari-barou !... ................................. Fragment d'une épitre en Vers de Napoléon III, 1871. L'ANGELOT MAUDIT [The Accursed Cherub] Toits bleuâtres et portes blanches Comme en de nocturnes dimanches, Au bout de la ville sans bruit La Rue est blanche, et c'est la nuit. La Rue a des maisons étranges Avec des persiennes d'Anges. Mais, vers une borne, voici Accourir, mauvais et transi, Un noir Angelot qui titube, Ayant trop mangé de jujube. Il fait caca : puis disparaît : Mais son caca maudit paraît, Sous la lune sainte qui vaque, De sang sale un léger cloaque ! Louis Ratisbonne. A.Rimbaud. MAIS ENFIN Mais enfin, c Qu'ayant Je puisse Et du nom Rêver la sé Le tableau Des animau Et, loin de L'élaborat D'un Choler LES SOIRS D'ETE Les soirs d'été, sous l'oeil ardent des devantures Quand la sève frémit sous les grilles obscures Irradiant au pied des grêles marronniers, Hors de ces groupes noirs, joyeux ou casaniers, Suceurs du brûle-gueule ou baiseurs du cigare, Dans le Kiosque mi-pierre étroit où je m'égare, - Tandis qu'en haut rougoie une annonce d'Ibled, - Je songe que l'hiver figera le Tibet D'eau propre qui bruit, apaisant l'onde humaine, - Et que l'âpre aquilon n'épargne aucune veine. François Coppée. A. Rimbaud. BOUTS-RIMÉS lévitique un fauve fessier matiques, enou grossier, apoplectiques, nassier, mnastique, n membre d'acier. et peinte en bile, a sébile in, n fruit d'Asie, saisie, ve d'airain. A.R. AUX LIVRES DE CHEVET Aux livres de chevet, livres de l'art serein, Obermann et Genlis, Vert-Vert et le Lutrin, Blasé de nouveauté grisâtre et saugrenue, J'espère, la vieillesse étant enfin venue, Ajouter le traité du Docteur Venetti. Je saurai, revenu du public abêti, Goûter le charme ancien des dessins nécessaires. Ecrivain et graveur ont doré les misères Sexuelles, et c'est, n'est-ce pas, cordial : Dr Venetti, Traité de l'Amour conjugal. F. Coppée A. R HYPOTYPOSES SATURNIENNES, EX BELMONTET Quel est donc ce mystère impénétrable et sombre ? Pourquoi, sans projeter leur voile blanche, sombre Tout jeune esquif royal gréé ? ~ ~ ~ Renversons la douleur de nos lacrymatoires. - ......................................... L'amour veut vivre aux dépens de sa soeur, _____ L'amitié vit aux dépens de son frère. ................. Le sceptre, qu'à peine on révère, N'est que la croix d'un grand calvaire - Sur le volcan des nations ! ~ ~ ~ ............................................... Oh ! L'honneur ruisselait sur ta mâle moustache. Belmontet, archétype Parnassien LES REMEMBRANCES DU VIEILLARD IDIOT Pardon, mon père ! Jeune, aux foires de campagne, Je cherchais, non le tir banal où tout coup gagne, Mais l'endroit plein de cris où les ânes, le flanc Fatigué, déployaient ce long tube sanglant Que je ne comprends pas encore !... Et puis ma mère, Dont la chemise avait une senteur amère Quoique fripée au bas et jaune comme un fruit, Ma mère qui montait au lit avec un bruit - Fils du travail pourtant, - ma mère, avec sa cuisse De femme mûre, avec ses reins très gros où plisse Le linge, me donna ces chaleurs que l'on tait !... Une honte plus crue et plus calme, c'était Quand ma petite soeur, au retour de la classe, Ayant usé longtemps ses sabots sur la glace, Pissait, et regardait s'échapper de sa lèvre D'en bas serrée et rose, un fil d'urine miève !... O pardon ! Je songeais à mon père parfois : Le soir, le jeu de carte et les mots plus grivois, Le voisin, et moi qu'on écartait, choses vues... - Car un père est troublant ! - et les choses conçues !.. Son genou, câlineur parfois ; son pantalon Dont mon doigt désirait ouvrir la fente, ... - oh ! non ! - Pour avoir le bout, gros, noir et dur, de mon père, Dont la pileuse main me berçait !... Je veux taire Le pot, l'assiette à manche, entrevue au grenier, Les almanachs couverts en rouge, et le panier De charpie, et la Bible, et les lieux, et la bonne, La Sainte-Vierge et le crucifix... Oh ! personne Ne fut si fréquemment troublé, comme étonné ! Et maintenant, que le pardon me soit donné : Puisque les sens infects m'ont mis de leurs victimes, Je me confesse de l'aveu des jeunes crimes !... ............................................ Puis ! - qu'il me soit permis de parler au Seigneur ! Pourquoi la puberté tardive et le malheur Du gland tenace et trop consulté ? Pourquoi l'ombre Si lente au bas du ventre ? et ces terreurs sans nombre Comblant toujours la joie ainsi qu'un gravier noir ? - Moi j'ai toujours été stupéfait ! Quoi savoir ? .................................................. Pardonné ?... Reprenez la chancelière bleue, Mon père. O cette enfance ! ................................ ........................................................ .....................- et tirons nous la queue ! François Coppée A.R. RESSOUVENIR Cette année où naquit le Prince impérial Me laisse un souvenir largement cordial D'un Paris limpide où des N d'or et de neige Aux grilles du palais, aux gradins du manège Éclatent, tricolorement enrubannés. Dans le remous public des grands chapeaux fanés, Des chauds gilets à fleurs, des vieilles redingotes, Et des chants d'ouvriers anciens dans les gargotes, Sur des châles jonchés l'Empereur marche, noir Et propre, avec la Sainte espagnole, le soir Francois Coppée L'ENFANT QUI RAMASSA LES BALLES... L'enfant qui ramassa les balles, le Pubère Où circule le sang de l'exil et d'un Père Illustre, entend germer sa vie avec l'espoir De sa figure et de sa stature et veut voir Des rideaux autres que ceux du Trône et des Crèches. Aussi son buste exquis n'aspire pas aux brèches De l'Avenir ! - Il a laissé l'ancien jouet. O son doux rêve ô son bel Enghien * ! Son oeil est Approfondi par quelque immense solitude; "Pauvre jeune homme, il a sans doute l'Habitude !" François Coppée * Parce que "Enghien chez soi" ! - Ce "Coppée" n'appartient pas à l'album zutique, mais reflète le même esprit. Il date du 10 septembre 1872 et a été écrit à Londres par Rimbaud sur l'album du peintre Félix Régamey. LES STUPRA LES ANCIENS ANIMAUX... [The ancient beasts...] Les anciens animaux saillissaient, même en course, Avec des glands bardés de sang et d'excrément. Nos pères étalaient leur membre fièrement Par le pli de la gaine et le grain de la bourse. Au moyen âge pour la femelle, ange ou pource, Il fallait un gaillard de solide gréement ; Même un Kléber, d'après la culotte qui ment Peut-être un peu, n'a pas dû manquer de ressource. D'ailleurs l'homme au plus fier mammifère est égal ; L'énormité de leur membre à tort nous étonne ; Mais une heure stérile a sonné : le cheval Et le boeuf ont bridé leurs ardeurs, et personne N'osera plus dresser son orgueil génital Dans les bosquets où grouille une enfance bouffonne. NOS FESSES NE SONT PAS LES LEURS... [Our buttocks are not theirs...] Nos fesses ne sont pas les leurs. Souvent j'ai vu Des gens déboutonnés derrière quelque haie, Et, dans ces bains sans gêne où l'enfance s'égaie, J'observais le plan et l'effet de notre cul. Plus ferme, blême en bien des cas, il est pouvu De méplats évidents que tapisse la claie Des poils ; pour elles, c'est seulement dans la raie Charmante que fleurit le long satin touffu. Une ingéniosité touchante et merveilleuse Comme l'on ne voit qu'aux anges des saints tableaux Imite la joue où le sourire se creuse. Oh ! de même être nus, chercher joie et repos, Le front tourné vers sa portion glorieuse, Et libres tous les deux murmurer des sanglots ? L'IDOLE. SONNET DU TROU DU CUL [The Idol] Obscur et froncé comme un oeillet violet Il respire, humblement tapi parmi la mousse. Humide encor d'amour qui suit la fuite douce Des Fesses blanches jusqu'au coeur de son ourlet. Des filaments pareils à des larmes de lait Ont pleuré, sous le vent cruel qui les repousse, À travers de petits caillots de marne rousse Pour s'aller perdre où la pente les appelait. Mon Rêve s'aboucha souvent à sa ventouse ; Mon âme, du coït matériel jalouse, En fit son larmier fauve et son nid de sanglots. C'est l'olive pâmée, et la flûte caline ; C'est le tube où descend la céleste praline : Chanaan féminin dans les moiteurs enclos ! Albert Mérat. P.V. - A.R. ~ Il existe une autre version du poème, parue dans "Hombres" de Verlaine, recueil publié "sous le manteau" chez Messein en 1903. Les déserts de l'amour Avertissement C'est certes la même campagne... Cette fois, c'est la femme que j'ai vue... ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ AVERTISSEMENT
Ces écritures-ci sont d'un jeune, tout jeune homme, dont la vie s'est développée n'importe où;
sans mère, sans pays, insoucieux de tout ce qu'on connaît, fuyant toute force morale, comme furent déjà
plusieurs pitoyables jeunes hommes. Mais, lui, si ennuyé et si troublé, qu'il ne fit que s'amener à la
mort comme à une pudeur terrible et fatale. N'ayant pas aimé de femmes, quoique plein de sang !
- il eut son âme et son coeur, toute sa force, élevés en des erreurs étranges et tristes. Des rêves suivants,
- ses amours ! - qui lui vinrent dans ses lits ou dans les rues, et de leur suite et de leur fin, de douces
considérations religieuses se dégagent - peut-être se rappellera-t-on le sommeil continu des Mahométans légendaires,
- braves pourtant et circoncis !
A. Rimbaud Texte de l'autographe de la Bibliothèque Nationale, ancienne collection Barthou. C'EST CERTES LA MEME CAMPAGNE... C'est certes la même campagne. La même maison rustique de mes parents : la salle même où les dessus de porte sont des bergeries roussies, avec des armes et des lions. Au dîner, il y a un salon, avec des bougies et des vins et des boiseries rustiques. La table à manger est très-grande. Les servantes ! Elles étaient plusieurs, autant que je m'en suis souvenu. - Il y avait là un de mes jeunes amis anciens, prêtre et vêtu en prêtre, maintenant : c'était pour être plus libre. Je me souviens de sa chambre de pourpre, à vitres de papier jaune : et ses livres, cachés, qui avaient trempé dans l'océan ! Moi j'étais abandonné, dans cette maison de campagne sans fin : lisant dans la cuisine, séchant la boue de mes habits devant les hôtes, aux conversations du salon : ému jusqu'à la mort par le murmure du lait du matin et de la nuit du siècle dernier. J'étais dans une chambre très sombre : que faisais-je ? Une servante vint près de moi : je puis dire que c'était un petit chien : quoiqu'elle fût belle, et d'une noblesse maternelle inexprimable pour moi : pure, connue, toute charmante ! Elle me pinça le bras. Je ne me rappelle même plus bien sa figure : ce n'est pas pour me rappeler son bras, dont je roulai la peau dans mes deux doigts : ni sa bouche, que la mienne saisit comme une petite vague désespérée, minant sans fin quelque chose. Je la renversai dans une corbeille de coussins et de toiles de navire, en un coin noir. Texte de l'autographe de la Bibliothèque Nationale, ancienne collection Barthou. CETTE FOIS, C'EST LA FEMME... Cette fois, c'est la Femme que j'ai vue dans la ville, et à qui j'ai parlé et qui me parle. J'étais dans une chambre sans lumière. On vint me dire qu'elle était chez moi : et je la vis dans mon lit, toute à moi, sans lumière ! Je fus très ému, et beaucoup parce que c'était la maison de famille : aussi une détresse me prit ! j'étais en haillons, moi, et elle, mondaine, qui se donnait ; il lui fallait s'en aller ! Une détresse sans nom, je la pris, et la laissai tomber hors du lit, presque nue ; et dans ma faiblesse indicible, je tombai sur elle et me traînai avec elle parmi les tapis sans lumière. La lampe de la famille rougissait l'une après l'autre les chambres voisines. Alors la femme disparut. Je versai plus de larmes que Dieu n'en a pu jamais demander. Je sortis dans la ville sans fin. O Fatigue ! Noyé dans la nuit sourde et dans la fuite du bonheur. C'était comme une nuit d'hiver, avec une neige pour étouffer le monde décidément. Les amis auxquels je criais : où reste-t-elle, répondaient faussement. Je fus devant les vitrages de là où elle va tous les soirs : je courais dans un jardin enseveli. On m'a repoussé. Je pleurais énormément, à tout cela. Enfin je suis descendu dans un lieu plein de poussière, et assis sur des charpentes, j'ai laissé finir toutes les larmes de mon corps avec cette nuit. - Et mon épuisement me revenait pourtant toujours. J'ai compris qu'elle était à sa vie de tous les jours ; et que le tour de bonté serait plus long à se reproduire qu'une étoile. Elle n'est pas revenue, et ne reviendra jamais, l'Adorable qui s'était rendue chez moi, - ce que je n'aurais jamais présumé. - Vrai, cette fois, j'ai pleuré plus que tous les enfants du monde. Texte de l'autographe de la Bibliothèque Nationale, ancienne collection Barthou. PROSES ÉVANGÉLIQUES À Samarie, plusieurs ont manifesté leur foi en lui... L'air léger et charmant de la Galilée... Bethsaïda, la piscine des cinq galeries... ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ À Samarie A Samarie, plusieurs ont manifesté leur foi en lui. Il ne les a pas vus. Samarie [s'enorgueillissait] la parvenue [la perfide], l'égoïste, plus rigide observatrice de sa loi protestante que Juda des tables antiques. Là la richesse universelle permettait bien peu de discussion éclairée. Le sophisme, esclave et soldat de la routine, y avait déjà après les avoir flattés, égorgé plusieurs prophètes. C'était un mot sinistre, celui de la femme à la fontaine : "Vous êtes prophètes, vous savez ce que j'ai fait." Les femmes et les hommes croyaient aux prophètes. Maintenant on croit à l'homme d'état. À deux pas de la ville étrangère, incapable de la menacer matériellement, s'il était pris comme prophète, puisqu'il s'était montré là si bizarre, qu'aurait-il fait ? Jésus n'a rien pu dire à Samarie. Autographe de la collection Jacques Guérin. L'air léger et charmant de la Galilée : les habitants le reçurent avec une joie curieuse : ils l'avaient vu, secoué par la sainte colère, fouetter les changeurs et les marchands de gibier du temple. Miracle de la jeunesse pâle et furieuse, croyaient-ils. Il sentit sa main aux mains chargées de bagues et à la bouche d'un officier. L'officier était à genoux dans la poudre : et sa tête était assez plaisante, quoique à demi chauve. Les voitures filaient dans les étroites rues [de la ville] ; un mouvement, assez fort pour ce bourg; tout semblait devoir être trop content ce soir-là. Jésus retira sa main : il eut un mouvement d'orgueil enfantin et féminin: "Vous autres, si vous ne voyez [point] des miracles, vous ne croyez point." Jésus n'avait point encor fait de miracles. Il avait, dans une noce, dans une salle à manger verte et rose, parlé un peu hautement à la Sainte Vierge. Et personne n'avait parlé du vin de Cana à Capharnaum, ni sur le marché, ni sur les quais. Les bourgeois peut-être. Jésus dit : "Allez, votre fils se porte bien". L'officier s'en alla, comme on porte quelque pharmacie légère, et Jésus continua par les rues moins fréquentées. Des liserons [oranges], des bourraches montraient leur lueur magique entre les pavés. Enfin il vit au loin la prairie poussiéreuse, et les boutons d'or et les marguerites demandant grâce au jour. Autographe de la collection Jacques Guérin. Bethsaïda Bethsaïda, la piscine des cinq galeries, était un point d'ennui. Il semblait que ce fût un sinistre lavoir, toujours accablé de la pluie et moisi, et les mendiants s'agitaient sur les marches intérieures blêmies par ces lueurs d'orages précurseurs des éclairs d'enfer, en plaisantant sur leurs yeux bleus aveugles, sur les linges blancs ou bleus dont s'entouraient leurs moignons. O buanderie militaire, ô bain populaire. L'eau était toujours noire, et nul infirme n'y tombait même en songe. C'est là que Jésus fit la première action grave ; avec les infâmes infirmes. Il y avait un jour, de février, mars ou avril, où le soleil de 2 h ap. midi, laissait s'étaler une grande faux de lumière sur l'eau ensevelie, et comme, là-bas, loin derrière les infirmes, j'aurais pu voir tout ce que ce rayon seul éveillait de bourgeons et de cristaux, et de vers, dans ce reflet, pareil à un ange blanc couché sur le côté, tous les reflets infiniment pâles remuaient. Les premiers entrés sortaient guéris, disait-on. Non. Les péchés les rejetaient sur les marches ; et les forçaient de chercher d'autres postes : car leur Démon ne peut rester qu'aux lieux où l'aumône est sûre. Le Paralytique se leva, qui était resté couché sur le flanc. et ce fut d'un pas singulièrement assuré qu'ils le virent franchir la galerie et disparaître dans la ville, les Damnés. Autographe de la collection Jacques Guérin. |
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