PORTALE RIMBAUD
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Arthur Rimbaud OPERE VARIE

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OPERE ULTRAGIOVANILI
[incluso ALBUM ZUTIQUE in italiano & français]





Ritratto di Rimbaud

INDICE:
  • I deserti dell'amore
  • Prose evangeliche
  • Album Zutique
  • Prose e versi di collegio










  • I DESERTI DELL'AMORE


    AVVERTENZA

    Questi scritti sono di un giovane, giovanissimo uomo, la cui vita s'è sviluppata ovunque, senza madre, senza paese, incurante di tutto ciò che si conosce, in fuga davanti ad ogni forza morale, come già lo furono parecchi uomini degni di compassione. Ma lui, così annoiato e turbato, non fece che giungere alla morte come a un pudore terribile e fatale. Non avendo amato donne, - benché pieno di sangue! - ebbe la sua anima e il suo corpo, tutta la sua forza, educati in errori strani e tristi. Dai sogni seguenti, - i suoi amori! che fece nei letti o per le strade, e dal loro proseguimento e dalla loro fine, scaturiscono dolci considerazioni religiose. Forse si ricorderà il sonno continuo dei leggendari Maomettani, - e tuttavia valorosi e circoncisi! - Ma poiché questa bizzarra sofferenza possiede un'autorità inquietante, bisogna sinceramente desiderare che quest'anima, smarrita fra tutti noi, e che voleva la morte, trovi in quell'istante serie considerazioni, e sia dignitosa!


    Danzatrice d'harem

    I DESERTI DELL’AMORE

    È di certo la stessa campagna. La stessa casa rustica dei miei genitori: la stessa sala in cui le sovrapporte sono scene pastorali, con stemmi e leoni. A cena, c'è un salotto con candele e vini e rivestimenti di legno. Il tavolo da pranzo è molto grande. Le serve! Erano parecchie, per quanto posso ricordare. - C'era uno dei miei vecchi amici giovani, prete e vestito da prete, adesso: era per essere più libero. Mi ricordo la sua stanza di porpora, coi vetri di carta gialla: e i suoi libri, nascosti, che erano rimasti immersi nell'oceano!

    Io ero abbandonato, in quella casa di campagna sterminata: leggevo in cucina, facevo seccare il fango delle mie vesti davanti agli ospiti, durante le conversazioni in salotto: commosso fino alla morte dal mormorio del latte al mattino e dalla notte del secolo scorso.

    Ero in una stanza molto buia: che facevo? Una serva mi si avvicinò: posso dire che era un cagnolino: benché fosse bella, e di una nobiltà materna inesprimibile per me: pura, conosciuta, tutta affascinante! Mi pizzicò il braccio.

    Non ricordo bene neanche il suo volto: e non ricordo neppure il suo braccio, di cui strizzai la pelle con le mie dita: né la sua bocca, che afferrò la mia come una piccola disperata onda, minando qualcosa senza fine. La rovesciai in una cesta di cuscini e di teli da nave, in un angolo buio. Non ricordo che le sue mutandine dai pizzi bianchi. - Poi, oh disperazione, la parete diventò vagamente l'ombra degli alberi, e io m'inabissai nella tristezza amorosa della notte.


    ~ ~ ~


    Questa volta è la Donna che ho visto nella città, a cui ho parlato e che mi parla.

    Ero in una stanza senza luce. Vennero a dirmi che lei era a casa mia: e la vidi nel mio letto, tutta per me, senza luce! Fui molto turbato, soprattutto perché era la casa della mia famiglia: così fui preso dallo sconforto! ero in stracci, io, e lei, donna di mondo, che si offriva; doveva andarsene! Uno sconforto senza nome, la presi, e la lasciai cadere fuori dal letto, quasi nuda; e nella mia indicibile debolezza, le caddi sopra e mi trascinai con lei fra i tappeti senza luce. La lampada della famiglia arrossava una dopo l'altra le stanze vicine. Allora la donna scomparve. Versai più lacrime di quante Dio abbia mai potuto chiederne.

    Uscii nella città senza fine. Oh stanchezza! Affogato nella notte sorda e nella fuga della felicità. Era come una notte d'inverno, con una neve per soffocare decisamente il mondo. Gli amici a cui gridavo: dove si trova?, mi davano risposte false. Fui davanti alle vetrate dove lei andava tutte le sere: correvo in un giardino sepolto. Mi cacciarono. Piansi enormemente, per tutto ciò. Infine sono sceso in un luogo pieno di polvere e, seduto su una catasta, ho lasciato che finissero tutte le lacrime del mio corpo insieme a quella notte. - Eppure lo sfinimento mi ritornava sempre.

    Capii che lei era alla sua vita d'ogni giorno; e che il passaggio della bontà sarebbe stato più lungo a riprodursi di una stella. Non è tornata, e non tornerà mai, l'Adorabile che era venuta da me, - cosa che non avrei mai immaginato. Davvero, questa volta ho pianto più di tutti i fanciulli del mondo.





    Disegno di Rimbaud


    PROSE EVANGELICHE

    A Samaria, molti hanno manifestato la loro fede in lui. Egli non li ha visti. Samaria [s'inorgogliva] la parvenu [la perfida], l'egoista, più rigida osservante della sua legge protestante che Giuda delle antiche tavole. Lì la ricchezza universale consentiva ben poco a una discussione illuminata. Il sofisma, schiavo e soldato dell'abitudine, aveva già sgozzato, dopo averli lusingati, parecchi profeti.

    Era una frase sinistra, quella della donna alla fontana: "Voi siete profeta, voi sapete cosa ho fatto".

    Uomini e donne credevano nei profeti. Ora si crede negli uomini di stato.

    A due passi dalla città straniera, incapace di minacciarla materialmente, se l'avessero preso per profeta, poiché si era mostrato così strano, che avrebbe fatto?

    ~ ~ ~ ~ ~



    L'aria leggera e incantevole della Galilea: gli abitanti lo accolsero con una gioia curiosa: lo avevano visto, sconvolto da una santa collera, frustare i cambiavalute e i mercanti di selvaggina del tempio. Miracolo della giovinezza pallida e furente, credevano.

    Sentì sulla sua mano le mani piene d'anelli e la bocca di un ufficiale. L'ufficiale era inginocchiato nella polvere: e la sua testa era abbastanza piacente, benché semicalva. Le vetture filavano nelle strette vie [della città]; un traffico abbastanza intenso per quel borgo; tutto sembrava dover essere troppo contento quella sera.

    Gesù ritrasse la mano: ebbe un moto d'orgoglio infantile e femmineo: "Voialtri, se non vedete [affatto] miracoli, non credete".

    Gesù non aveva fatto ancora nessun miracolo. A un matrimonio, in una sala da pranzo rossa e verde, aveva parlato un po' altezzosamente alla Santa Vergine. E nessuno aveva parlato del vino di Cana a Cafarnao, né mercato, né sulle banchine. I borghesi, forse.

    Gesù disse: "Va', tuo figlio sta bene". L'ufficiale se ne andò, come si porta un farmaco leggero, e Gesù proseguì per strade meno frequentate. I convolvoli [arancioni], le borrane mostravano il loro magico chiarore fra i selciati. Infine vide da lontano la prateria polverosa, e i ranuncoli d'oro e le margherite che chiedevano grazia alla luce.

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    Beth-Saida, la piscina dai cinque porticati, era un punto di noia. Sembrava fosse un sinistro lavatoio, sempre afflitto dalla pioggia e ammuffito; e i mendicanti si agitavano sulle gradinate interne illividite da bagliori di temporali forieri di lampi infernali, burlandosi dei loro azzurri occhi ciechi, o dei panni bianchi o azzurri che avvolgevano i loro moncherini. Oh lavanderia militare, oh bagno popolare. L'acqua era sempre nera, e nessun infermo vi cadeva, neanche in sogno.

    Fu lì che Gesù compì la prima azione grave; con gli infami infermi. Ci fu un giorno, di febbraio, marzo o aprile, in cui il sole delle due del pomeriggio stendeva una grande falce di luce sull'acqua sepolta; e come laggiù, lontano dietro gli infermi, avrei potuto vedere tutto ciò che quel solo raggio destava, gemme e cristalli, e vermi, in quel riflesso simile a un angelo bianco sdraiato sul fianco, tutti i riflessi infinitamente pallidi si muovevano.

    Allora tutti i peccati, figli leggeri e tenaci del demonio, che per i cuori un po' sensibili rendevano quegli uomini più spaventosi dei mostri, volevano buttarsi in quell'acqua. Gli infermi scendevano, senza più schernire, ma con voglia.

    I primi entrati uscivano guariti, si diceva. No. I peccati li respingevano sulle gradinate, e li costringevano a cercare altri posti: perché il loro Demonio può stare solo in quei luoghi dove l'elemosina è certa.

    Gesù entrò subito dopo l'ora del mezzogiorno. Nessuno lavava o faceva scendere le bestie. La luce nella piscina era gialla come le ultime foglie delle viti. Il divino maestro stava appoggiato a una colonna: guardava i figli del Peccato, il demonio tirava fuori la lingua nella loro lingua; e rideva o negava.

    Il Paralitico si alzò, quello che era rimasto sdraiato sul fianco, e fu con passo singolarmente sicuro che lo videro percorrere il porticato e scomparire nella città, i Dannati.






    Album Zutique-banner

    ALBUM ZUTIQUE
    [solo italiano / Italian only]


    GIGLI

    O fandonie! o gigli! clisopompe d'argento!
    Sdegnosi dei lavori, sdegnosi della fami!
    L'amore vi riempie di un amore detergente!
    Una dolcezza di cielo imburra i vostri stami!

    ARMANDE SILVESTRE
    A. R.

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    LE LABBRA CHIUSE

    La Musica addolcisce! sketch di Arthur che suona, fatto da Verlaine
    VISTO A ROMA

    C'è a Roma, nella Sistina,
    Coperta di emblemi cristiani,
    Una cassetta scarlattina
    Dove seccano antichissimi nasi:
    Nasi d'asceti di Tebaide,
    Nasi di canonici del Santo Graal
    Dove si rapprese la notte livida,
    E il vecchio canto sepolcrale.
    Nella loro mistica secchezza,
    Ogni mattina introducono
    L'immondizia scismatica
    Che si riduce in polvere fine.

    LÉON DIERX
    A. R.


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    Sogno

    Occupavo un vagone di terza; un vecchio prete
    Uscì una pipaccia e mise alla finestra
    Verso le brezze, la sua fronte calma dalla pallida peluria.
    Poi quel cristiano, sfidando gli insulsi scherni,
    Voltatosi, mi fece la domanda energica
    E triste allo stesso tempo d'una piccola cicca
    Di tabacco, - essendo stato capo cappellano
    Di un rampollo reale nuovamente condannato; -
    Per rimestare la noia d'un tunnel, oscura vena
    Che si offre ai viaggiatori, presso Soissons, città dell'Aisne.


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    Preferisco senza dubbio, in primavera, la trattoria
    Dove germoglia il ramoscello dei castani nani,
    Verso i prati stretti e comunali, nel mese di maggio.
    Cagnolini più volte scacciati
    Vengono dai Bevitori a triturare i giacinti delle aiuole.
    Ed è, fino alle sere di giacinto
    Sul tavolo d'ardesia dove, l'anno settecentoventi
    Un diacono incise il suo soprannome latino
    Magro come una prosa sui vetri di chiesa
    La tosse dei neri flaconi che non li inebria mai.

    FRANCOIS COPPÉE
    A. R.


    L'Umanità calzava il vasto fanciullo Progresso.

    LOUIS-XAVIER DE RICARD
    A. RIMBAUD






    Volto del giovane Arthur
    L'ANGIOLETTO MALEDETTO

    Tetti bluastri e porte bianche
    Come nelle domeniche notturne,
    All'estremo della città senza rumore
    La Strada è bianca, ed è la notte.
    La Strada ha strane case
    Con persiane d'Angeli.
    Ma, verso un paracarro, ecco
    Accorre, malvagio e intirizzito,
    Un nero angioletto, titubante
    Per le troppe giuggiole mangiate.
    Fa la cacca: poi scompare:
    Ma la sua cacca maledetta pare,
    Sotto la santa luna che vaga,
    Di sporco sangue una lieve cloaca!

    LOUIS RATISBONNE
    A. RIMBAUD





    Rimbaud derubato a Vienna - sketch di Verlaine
    Le sere d'estate, sotto l'occhio ardente delle vetrine,
    Quando la linfa freme sotto le oscure grate
    Irradiando ai piedi gracili castani,
    Fuori da questi gruppi neri, allegri e caserecci,
    Fumatori di pipe o baciatori di sigari,
    Nel chiosco semi-pietra stretto dove mi perdo,
    - Mentre in alto rosseggia un annuncio d' Ibléd, -
    Penso che l'inverno ghiaccerà il Tibet
    D'acqua pulita che gorgoglia, placando l'onda umana,
    - E che l'aspro vento non risparmia alcuna vela.

    FRANCOIS COPPÉE
    A. RIMBAUD







    LA SCOPA

    È un'umile scopa di saggina, troppo dura
    Per una stanza o per la tinta di un muro.
    L'uso è miserevole e non bisogna riderne.
    Radice strappata a qualche prato antico
    Secca il suo crine inerte: e il suo manico è sbiancato.
    Come un legno d'isola alla canicola arrossato.
    La cordicella sembra una treccia ghiacciata.
    Amo di questo oggetto il sapore desolato;
    E vorrei lavare i tuoi ampi bordi di latte,
    O Luna dove lo spirito delle nostre Sorelle morte si diletta.

    F. C.





    Rimbaud ritratto a Londra mentre dorme
    LE RIMEMBRANZE DEL VECCHIO IDIOTA



    Perdono, padre mio!

    Da giovane, alle fiere di campagna,
    Cercavo, non il tiro banale dove si guadagna a ogni colpo,
    Ma il luogo pieno d'urla dove gli asini, sfiancati,
    Dispiegavano quel lungo tubo sanguinante
    Che ancora non comprendo!...

    E poi mia madre,
    Con la camicia dall'amaro sentore
    Benché sgualcita in basso e gialla come un frutto,
    Mia madre che saliva sul letto facendo rumore -
    Comunque figlio del lavoro, - mia madre, con la coscia
    Di donna matura, e i grossi fianchi dove la biancheria
    Si raggrinza, mi diede quei calori di cui non si dice!...

    Era una vergogna più cruda e più calma quando
    La mia sorellina, di ritorno da scuola,
    Dopo aver consumato gli zoccoli sul ghiaccio,
    Pisciava, e guardava sfuggire da quel labbro in basso
    Stretto e rosa, un filo d'orina lezioso!...

    Oh perdono!

    A volte pensavo a mio padre:
    La sera, il gioco a carte e le frasi salaci,
    Il vicino, e io, messo da parte, cose viste…
    - Perché un padre è inquietante! - e le cose immaginate!...
    Il suo ginocchio, affettuoso a volte; i suoi pantaloni
    Di cui il mio dito desiderava aprire la fessura… - oh! no! -
    Per avere la punta, grossa, nera e dura, di mio padre,
    La cui mano villosa mi cullava!...

    Voglio tacere
    Il vaso, il piatto col manico, intravisto in solaio,
    Gli almanacchi coperti di rosso, la cesta di filacce,
    E la Bibbia, e i luoghi, e la serva,
    La Santa Vergine e il crocifisso…

    Oh! nessuno
    Fu così spesso turbato, come sorpreso!
    E adesso, che il perdono mi sia concesso:
    Poiché i fetidi sensi mi hanno reso vittima,
    Io mi confesso rivelando i miei giovani delitti!...

    . . . . . . . . . . . . . .

    E poi! - mi sia permesso parlare al Signore!
    Perché la pubertà tardiva e la sfortuna
    Del tenace glande e troppo consultato? Perché l'ombra
    Così lenta al basso ventre? e questi terrori senza fine
    Che sempre riempiono la gioia come nera ghiaia?
    - Quanto a me, sono sempre stato stupefatto. Che sapere?

    Perdonato?

    Riprenditi il reggipiedi blu,

    Padre mio.

    Oh che infanzia! . .
    . . . . . . . . . . . .
    . . . . - e tiriamoci la coda!

    FRANCOIS COPPÉE
    A. R.





    Rimbaud rifrangente
    PROSE E VERSI DI COLLEGIO


    Prologo è un singolare componimento scolastico pubblicato per la prima volta da Paterne Berrichon nella sua Vita di Jean-Arthur Rimbaud (1897). Il testo figura in un quadernetto di otto foglietti, formato 14,5 x 20 cm, con una scrittura poco curata, macchie d'inchiostro ed errori di ortografia. E tuttavia, sorprendentemente, vi ritroviamo già alcuni dei temi che percorreranno l'opera dello scrittore maturo, come l'aperto disprezzo verso il lavoro e la società e i suoi atteggiamenti anticonformisti. La datazione è incerta. Si ammette generalmente, seppur con qualche riserva, che Rimbaud abbia redatto il componimento presso l'Istituto Rossat all'età di nove anni. La poesia Invocazione a Venere è stata invece ritrovata nel "Bulletin de l'Académie de Douai", fascicolo dell'11 aprile 1870. Questi versi hanno la particolarità di essere la puntuale ripresa della traduzione del De rerum natura di Lucrezio che Sully-Prudhomme aveva appena compiuto (maggio 1869). Le correzioni apportate ai versi di Sully-Prudhomme dall'alunno Rimbaud rivelano una straordinaria sicurezza di stile. Carlo D'Orléans a Luigi XI , infine, è un compito in classe assegnato dal prof. Izambard all'inizio del 1870, ricco di richiami alle opere di Villon. Venne pubblicato per la prima volta nella "Revue de l'Evolution sociale, scientifique et littéraire" del novembre 1891.
    Non riporto qui i testi latini scritti da Rimbaud in questo periodo scolastico e che furono pubblicati separatamente, dal 1869 al 1870, in "Le Moniteur de l'Einsegnement secondaire, spécial et classique, Bulletin Officiel de l'Academie de Douai". Li ritrovò Jules Mouquet, che li fece conoscere pubblicandoli nel 1932 in una specifica raccolta. I manoscritti originali non sono giunti a noi, probabilmente perché distrutti. Il quattordicenne Rimbaud fa qui sfoggio di una notevole abilità versificatoria rivelandosi ottimo conoscitore dei "topoi" classici. Un componimento intitolato Giugurta gli valse il primo premio al concorso di versi latini dell'Accademia di Douai. Questi testi si possono leggere in sito esterno, cliccando qui.


    ~ ~ ~ ~ ~


    PROLOGO

    INVOCAZIONE A VENERE

    CARLO D’ORLÉANS A LUIGI XI


    Arthur Rimbaud



    PROLOGO

    I

    Il sole era ancora caldo; eppure non rischiarava quasi più la terra; come una fiaccola posta davanti a gigantesche volte non le illumina che di un fioco bagliore, così il sole, fiaccola terrestre, si spegneva lasciando sfuggire dal suo corpo di fuoco un ultimo e debole bagliore, che tuttavia lasciava ancora scorgere le foglie verdi degli alberi, i fiorellini che scolorivano e la sommità gigantesca dei pini, dei pioppi e delle querce secolari. Il vento rinfrescante, cioè una brezza fresca, agitava le foglie degli alberi con un fruscio simile suppergiù a quello che faceva il rumore delle argentee acque del ruscello che scorreva ai miei piedi. Le felci chinavano la loro fronte verde. Mi addormentai, non senza essermi abbeverato all'acqua del ruscello.

    II

    Sognai che……………………………………
    …… ero nato a Reims, nell'anno 1503. Reims a quel tempo era una cittadina o, per meglio dire, un borgo rinomato comunque per la sua bella cattedrale, testimone dell'incoronazione del re Clodoveo.

    I miei genitori erano ricchi, ma molto onesti; come beni non avevano che una piccola casa che gli era sempre appartenuta e di cui erano proprietari vent'anni prima che io nascessi, inoltre qualche migliaio di franchi, e bisogna anche aggiungere qualche luigino proveniente dai risparmi di mia madre…

    Mio padre era ufficiale nell'esercito del re. Era un uomo grande, magro, i capelli neri, barba, occhi, pelle dello stesso colore… Benché alla mia nascita non avesse più di 48 o 50 anni, gliene sarebbero benissimo potuti dare 60 o… 58. Era di carattere vivace, focoso, spesso collerico e non voleva sopportare niente che non gli piacesse.

    Mia madre era ben diversa: donna dolce, calma, si spaventava per un nonnulla, e tuttavia teneva la casa in un ordine perfetto. Era così calma che mio padre la faceva divertire come una signorina giovane. Io ero il prediletto. I miei fratelli erano meno forti di me e tuttavia più grandi: amavo poco lo studio, cioè imparare a leggere, scrivere e far di conto… ma se c'era da sistemare la casa, coltivare un giardino, fare commissioni, alla buon ora, questo mi piaceva.

    Mi ricordo che un giorno mio padre mi aveva promesso venti centesimi se gli avessi fatto bene una divisione; cominciai; ma non riuscii a finire. Ah! quante volte mi ha promesso dei… soldi, giocattoli, dolcetti, una volta anche cinque franchi, se avessi potuto… leggergli qualcosa… nonostante ciò mio padre mi mandò a scuola non appena ebbi compiuto dieci anni.

    Perché, mi chiedevo, imparare il greco, il latino? Non lo so. Insomma, non ce n'è bisogno! Che me ne importa di essere promosso… a che serve essere promosso, a niente, non è vero? Sì però dicono che non si trova un posto se non si è promossi. Io di posti non ne voglio, io vivrò di rendita. E se anche ne volessi uno, perché imparare il latino; nessuno parla questa lingua. A volte lo vedo sui giornali, ma grazie a dio non farò mai il giornalista. Perché imparare la storia e la geografia? E' vero, bisogna sapere che Parigi è in Francia, ma non ti chiedono mica a che livello di latitudine. Quanto alla storia, imparare la vita di Chinaldone, di Nabopolassar, di Dario, di Ciro, e di Alessandro e degli altri loro compari notevoli per i loro nomi diabolici, non è un supplizio? Che m'importa, a me, che Alessandro sia stato celebre? Che m'importa… Che ne sappiamo se i latini sono esistiti? Magari è una qualche lingua fabbricata; e anche se fossero esistiti, mi lascino vivere di rendita e si tengano la loro lingua! Che male gli ho fatto perché mi mettano al supplizio. Passiamo al greco… questa sporca lingua non è parlata da nessuno, nessuno al mondo!... Ah! perdincibacco di perdincibaccolina! Caspiterina io vivrò di rendita; non è mica bello consumare i calzoni sui banchi di scuola... perdincibacconcello!

    Per essere lustrascarpe, ottenere un posto di lustrascarpe, bisogna fare un esame, perché i posti che vi offrono sono di essere o un lustrascarpe o un porcaio o un bovaro. Grazie a Dio, io non li voglio, perdincibacco! E in più come ricompensa vi appioppano schiaffoni, vi chiamano animale, che non è vero, avanzo d'uomo, ecc.

    Ah! perdincibbacolina! Il seguito prossimamente.


    ARTHUR
    [1864?]





    Rimbaud convalescente

    INVOCAZIONE A VENERE

    Madre dei figli d'Enea, o delizia degli Dei,
    Delizia dei mortali, sotto gli astri dei cieli,
    Venere, tu popoli tutto: l'onda dove corre la nave,
    Il sole fecondo: tutto per ogni essere che respira
    Germoglia, si erge, e vede il sole luminoso!
    Tu appari… Alla vista del tuo volto radioso
    Scompaiono i venti e le nuvole oscure:
    L'oceano ti sorride; feconda in opere belle,
    La Terra stende i fiori soavi sotto i tuoi piedi;
    Il giorno brilla più puro sotto i cieli azzurri!
    Quando Aprile riappare, e, gonfio di giovinezza,
    Pronto a portare a tutti una dolce tenerezza,
    Il soffio di zefiro ha forzato la sua prigione,
    L'aereo popolo annuncia la tua stagione:
    L'uccello incantato subisce il tuo potere, o Dea;
    Il gregge selvaggio salta nell'erba folta,
    E fende l'onda a nuoto, e ogni essere vivente,
    Incatenato alla tua grazia, brucia mentre t'insegue!
    Sei tu che, per i mari, i torrenti, le montagne,
    I boschi popolati di nidi e le verdi campagne,
    Versando al cuore tutto l'amore caro e pulsante,
    Li porti di età in età a diffondere il loro sangue!
    Il mondo non conosce, Venere, che il tuo impero!
    Niente si potrebbe senza il tuo levarti al giorno:
    Nulla ispira senza di te, né prova amore!
    Al tuo divino aiuto nella mia opera io aspiro!


    A. RIMBAUD
    Esterno al Collegio di Charleville
    [1869]






    particolare dalla foto di Rimbaud - 1a comunione
    CARLO D'ORLÉANS A LUIGI XI

    Sire, il tempo ha lasciato il suo manto di pioggia; i forieri dell'estate sono venuti: sbattiamo l'uscio in faccia alla Malinconia! Viva i lai e le ballate! Le moralità e le burle. Che i curiali del tribunale ci montino le farse dissennate; andiamo ad ascoltare l'insegnamento del Benaccolto e Malaccorto, e la conversione del chierico Teofilo, e come andarono a Roma San Pietro e San Paolo, e come vennero martirizzati! Viva le dame dai goletti rimboccati, che portano ricami e gioie! Non è vero, Sire, che bello è dire sotto gli alberi, quando i cieli si vestono d'azzurro, quando il sole riluce chiaro, i dolci rondò, le ballate cantate apertamente? Ho una rama della pianta d'amore, o Una volta ditemi di sì, signora Ha sempre la meglio l'amante ricco … Ma eccomi sbalordito, Sire, e lo sarete voi quanto me: Maestro François Villon, il buon faceto, il motteggiator cortese che rimò tutto questo, legato, nutrito a pane e acqua, piange ora e geme in fondo al Chatelet! Sarete appeso! gli hanno detto al cospetto del notaro: e il povero burlone tramortito ha scritto il suo epitaffio per sé e i suoi compagni: e i bei galanti di cui tanto amate voi le rime, si lusingano di danzare a Montfaulcon, becchime d'uccelli più che ditali, nella pioviggine e il sole! Oh! Sire, non per insensato piacere che Villon si trova là! Misere scope soffrono abbastanza! Chierici in attesa della nomina all'Università, perdigiorno, espositori di scimmie, suonatori di ribeca che il loro conto pagano in canzoni, cavalieri di séguito, poveri diavoli, mercenari che nascondono il loro naso in pignatte di stagno meglio che in elmi di guerra: poveri figlioli secchi e neri come spazzaforni, che non vedono pane se non dalla finestra, che l'inverno imbacucca di geloni, anno scelto maestro Francois per madre nutrice! Ora necessità fa la gente errare, e fame saltar fuori del bosco il lupo: forse lo Studente, un giorno di carestia, rubò dalla tinozza del macellai delle budella, per friggerle al Rinfresco Popin o alla taverna del Pestel? Forse al fornaio ha fregato una dozzina di pagnotte, o scambiato alla Pigna una brocca d'acqua pura con una caraffa di vino di Baigneux? Forse una sera di gran bisboccia al Plat-d'Étain, ha randellato la guardia al suo arrivo; oppure li abbiamo sorpresi, attorno a Montfaulcon, a una cena guadagnata in una lite, con una decina di donnacce? Questi i misfatti di maestro François! Perché ci mostra un grasso canonico che fa moine alla sua dama in una camera ben drappeggiata, perché dice che il cappellano si cura di confessare solo fantesche e dame, e consiglia alle devote, per burla bell'e buona, di far contemplazione sotto le cortine, lo studente matto, sebbene ridendo, vago come uno smeriglio, trema sotto gli artigli del gran giurì, questi terribili uccelli neri seguiti da corvi e gazze! Lui e i suoi compagni, poveri meschini! appenderanno un nuovo rosario d'impiccati ai bracci della foresta: il vento gli farà canzoni in mezzo al dolce fogliame sonoro: e voi, Sire, e tutti coloro che amano il poeta, potranno ridere solo piangendo alla lettura delle sue ballate liete: penseranno di aver lasciato morire il nobile letterato che cantava così perdutamente, e non potranno scacciare Melanconia!

    Mariuolo, ladro, maestro François è pure il miglio figlio del mondo: se ne ride delle grasse zuppe domenicane: ma egli onora ciò che ha onorato la chiesa di Dio, e la signora vergine e la santissima trinità! Onora la Corte del Parlamento, madre dei buoni, e sorella dei benedetti angeli; ai maldicenti del reame di Francia, ne vuole quasi quanto agli osti che mescolano il vino. Et dea! Egli sa bene di aver troppo sgallettato ai tempi della sua folle gioventù! L'inverno, le sere di miseria, accanto alla fontana Maubuay o in qualche sacrario rovinato, seduto a coccoloni davanti a un focherello di canapa, che avvampa di tanto in tanto per arrossare il suo magro volto, egli medita che se avesse studiato avrebbe avuto casa e modico giaciglio!... Sovente, languido e nero come un cavalcatore di scopette, dalle fessure guarda negli ostelli: - «O, quei bocconi squisiti e ghiotti! Quelle torte, quei flan, quelle grasse pollastre dorate! - Sono affamato più di Tantalo! - Arrosto! arrosto! - Oh! afrore dolce più dell'ambra e di zibetti! - Del vino di Beaulne in grandi boccali d'argento! - Dagli!, la gola m'arde!... O, avessi mai studiato!... - E le mie branche che tirano la lingua, e la mia zimarra ce apre tutte le sue finestre, e il cappellaccio mio a denti di sega! - Se incontrassi un pietoso Alessandro, perché io posso, ben accolto, ben dichiarato, a mio agio cantare come Orfeo il dolce menestrello! Se vivere potessi con onore una volta prima di morire!...» Ma, ecco: cena di rondò, d'effetti di luna sui vecchi tetti, d'effetti di lanterne sopra il suolo, è magro assai, magrissimo; poi passano, in gonne strette, le battano paesane, che fanno vezzose cosettine per attirare a sé i passanti; poi il rimpianto delle taverne scintillanti, piene del grido dei bevitori che urtano i boccali di stagno e spesso gli spadoni, del ghignar delle puttane, e del canto aspro delle ribeche mendicanti; il rimpianto dei vecchi neri vicoli ove sporgono insensatamente, per abbracciarsi, piani di case e travi enormi; ove, nella notte fitta, passano, con suoni di spadacce strascicate, risa e schiamazzi abominevoli… E torna l'uccello al vecchio nido: Tutto per taverne e per ragazze!... Oh! Sire, non poter mettere pennacchi al vento in questo tempo della gioia! La corda è veramente triste in maggio, quando tutto canta, quando tutto ride, quando sfavilla il sole sui muri più leprosi! Impiccati saranno, per un pasto da nulla! Villon è nelle mani della Corte del Parlamento: il corvo non ascolterà l'uccellino! Sire, sarebbe in verità un misfatto appendere quei gentili letterati: quei poeti, vedete, non sono di quaggiù: lasciateli vivere la loro strana vita; lasciateli aver freddo e fame, lasciateli vagare, cantare e amare: essi sono tanto ricchi quanto Giacomo Cuore, tutti questi fanciulli matti, poiché hanno l'anima piena di rime, di rime che ridono e che piangono, che ci fanno ridere o piangere: Lasciate che vivano: Dio benedice tutti i pietosi, e il mondo benedice i poeti.

    A.RIMBAUD
    (primavera del 1870)






    Album Zutique-banner

    ALBUM ZUTIQUE

    français seulement (solo in francese)




    ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~


    Il s'agit d'un album de 48 pages, composé de poésies écrites par Verlaine et ses amis, qui se retrouvaient périodiquement à L'Hôtel des Étrangers, boulevard Saint-Michel, à l'angle des rues Racine et de l'École-de-Médecine, dans une chambre du troisième étage, pour blaguer, fumer, boire, réciter des vers, et même jouer du piano : le groupe des Vilains Bonhommes. Par la suite, il fut renommé Cercle Zutiste (ou Zutique), par Charles Cros.

    Les poètes s' amusaient à se parodier entre eux, et à parodier aussi certains parnassiens, de façon obscène de préférence. Rimbaud s'est montré très brillant à cet exercice. L'Album fut publié pour la première fois en 1943.

    Le nom du poète parodié apparaît en premier, suivi des initiales de l'auteur de la parodie.


    L'Idole : Sonnet du trou du cul
    Lys
    Les lèvres closes. Vu à Rome
    Fête galante
    J'occupais un wagon de troisième...
    Je préfère sans doute...
    L'humanité chaussait...
    Conneries:
    - I Jeune goinfre
    - II Paris
    Conneries 2e série:
    - I Cocher ivre
    Vieux de la vieille
    État de siège ?
    Le balai
    Exil[s]
    L'angelot maudit
    Mais enfin, c'...
    Les soirs d'été...
    Bouts-rimés
    Aux livres de chevet...
    Hypotyposes saturniennes, ex Belmontet
    Les Remembrances du vieillard idiot
    Ressouvenir
    L'enfant qui ramassa les balles...




    ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~


    L'IDOLE.
    SONNET DU TROU DU CUL

    [The Idol]


    Obscur et froncé comme un oeillet violet
    Il respire, humblement tapi parmi la mousse.
    Humide encor d'amour qui suit la fuite douce
    Des Fesses blanches jusqu'au coeur de son ourlet.

    Des filaments pareils à des larmes de lait
    Ont pleuré, sous le vent cruel qui les repousse,
    À travers de petits caillots de marne rousse
    Pour s'aller perdre où la pente les appelait.

    Mon Rêve s'aboucha souvent à sa ventouse ;
    Mon âme, du coït matériel jalouse,
    En fit son larmier fauve et son nid de sanglots.

    C'est l'olive pâmée, et la flûte caline ;
    C'est le tube où descend la céleste praline :
    Chanaan féminin dans les moiteurs enclos !

    Albert Mérat.
    P.V.-A.R.

    Il existe une autre version du poème, parue dans "Hombres" de Verlaine, recueil publié "sous le manteau" chez Messein en 1903.



    LYS




    O Balancoirs ! ô lys ! clysopompes d'argent !
    Dédaigneux des travaux, dédaigneux des famines !
    L'Aurore vous emplit d'un amour détergent !
    Une douceur de ciel beurre vos étamines !

    Armand Silvestre.
    A.R.





    LES LEVRES CLOSES.
    VU A ROME

    [Lips shut. Seen in Rome]

    Michelangelo - Creation

    Il est, à Rome, à la Sixtine,
    Couverte d'emblèmes chrétiens,
    Une cassette écarlatine
    Où sèchent des nez fort anciens :

    Nez d'ascètes de Thébaïde,
    Nez de chanoines du Saint Graal
    Où se figea la nuit livide,
    Et l'ancien plain-chant sépulcral.

    Dans leur sécheresse mystique,
    Tous les matins, on introduit
    De l'immondice schismatique
    Qu'en poudre fine on a réduit.

    Léon Dierx.
    A.R.




    FETE GALANTE


    Crispin et Scapin - by Daumier

    Rêveur, Scapin
    Gratte un lapin
    Sous sa capote.

    Colombina
    - Que l'on pina! -
    - Do, mi, - tapote

    L'oeil du lapin
    Qui tôt, tapin,
    Est en ribote...

    Paul Verlaine
    A. R.




    J'OCCUPAIS UN WAGON DE TROISIEME...


    J'occupais un wagon de troisième : un vieux prêtre
    Sortit un brûle-gueule et mit à la fenêtre,
    Vers les brises, son front très calme aux poils pâlis.
    Puis ce chrétien, bravant les brocarts impolis,
    S'étant tourné, me fit la demande énergique
    Et triste en même temps d'une petite chique
    De caporal, - ayant été l'aumônier chef
    D'un rejeton royal condamné derechef ; -
    Pour malaxer l'ennui d'un tunnel, sombre veine
    Qui s'offre aux voyageurs, près Soissons, ville d'Aisne.

    François Coppée
    A.R.



    JE PREFERE SANS DOUTE, AU PRINTEMPS...


    Je préfère sans doute, au printemps, la guinguette
    Où des marronniers nains bourgeonne la baguette,
    Vers la prairie étroite et communale, au mois
    De mai. Des jeunes chiens rabroués bien des fois
    Viennent près des Buveurs triturer des jacinthes
    De plate-bande. Et c'est, jusqu'aux soirs d'hyacinthe,
    Sur la table d'ardoise où, l'an dix-sept cent vingt,
    Un diacre grava son sobriquet latin
    Maigre comme une prose à des vitraux d'église,
    La toux des flacons noirs qui jamais ne les grise.

    François Coppée
    A.R.



    L'HUMANITE CHAUSSAIT LE VASTE ENFANT PROGRES


    Eduardo de Sa - olio

    L'humanité chaussait le vaste enfant Progrès.

    Louis-Xavier de Ricard.
    A. Rimbaud





    CONNERIES

    I
    JEUNE GOINFRE

    [Young Greedyguts]


    Casquette
    De moire,
    Quéquette
    D'ivoire,

    Toilette
    Très noire,
    Paul guette
    L'armoire,

    Projette
    Languette
    Sur poire,

    S'apprête
    Baguette,
    Et foire

    A.R.




    CONNERIES

    II PARIS


    poster d'epoca

    Al. Godillot, Gambier,
    Galopeau, Volf-Pleyel,
    - O Robinets ! - Menier,
    - O Christs ! - Leperdriel !
    Kinck , Jacob, Bonbonnel !
    Veuillot, Tropmann, Augier !
    Gill, Mendès, Manuel,
    Guido Gonin ! - Panier

    Des Grâces ! L'Hérissé !
    Cirages onctueux !
    Pains vieux, spiritueux !

    Aveugles ! - puis, qui sait ? -
    Sergents de ville, Enghiens
    Chez Soi ! - Soyons chrétiens !

    A.R.



    CONNERIES 2E SERIE

    I COCHER IVRE

    [Drunken Coachman]

    Fiacre by Hassam

    Pouacre
    Boit :
    Nacre
    Voit :

    Acre
    Loi,
    Fiacre
    Choit !

    Femme
    Tombe :
    Lombe

    Saigne :
    - Clame !
    Geigne.

    A.R.




    VIEUX DE LA VIEILLE !


    Aux paysans de l'empereur !
    À l'empereur des paysans !
    Au fils de Mars,
    Au glorieux 18 mars !
    Où le ciel d'Eugénie a béni les entrailles !




    ÉTAT DE SIEGE?

    Odeon

    Le pauvre postillon, sous le dais de fer blanc,
    Chauffant une engelure énorme sous son gant,
    Suit son lourd omnibus parmi la rive gauche,
    Et de son aine en flamme écarte la sacoche.
    Et tandis que, douce ombre où des gendarmes sont,
    L'honnête intérieur regarde au ciel profond
    La lune se bercer parmi la verte ouate,
    Malgré l'édit et l'heure encore délicate,
    Et que l'omnibus rentre à l'Odéon, impur
    Le débauché glapit au carrefour obscur !

    François Coppée.
    A.R




    LE BALAI



    C'est un humble balai de chiendent, trop dur
    Pour une chambre ou pour la peinture d'un mur.
    L'usage en est navrant et ne vaut pas qu'on rie.
    Racine prise à quelque ancienne prairie
    Son crin inerte sèche : et son manche a blanchi.
    Tel un bois d'île à la canicule rougi.
    La cordelette semble une tresse gelée.
    J'aime de cet objet la saveur désolée
    Et j'en voudrais laver tes larges bords de lait,
    O Lune où l'esprit de nos Soeurs mortes se plaît.
    F.C.




    EXIL[S].

    Doctor Conneau

    ..................................

    Que l'on s'intéressa souvent, mon cher Conneau !.....
    Plus qu'à l'Oncle Vainqueur, au Petit Ramponneau !..
    Que tout honnête instinct sort du Peuple débile !....
    Hélas !! Et qui a fait tourner mal notre bile !....
    Et qu'il nous sied déjà de pousser le verrou
    Au Vent que les enfants nomment Bari-barou !...

    .................................



    Fragment d'une épitre en Vers de Napoléon III, 1871.





    L'ANGELOT MAUDIT

    [The Accursed Cherub]



    Toits bleuâtres et portes blanches
    Comme en de nocturnes dimanches,

    Au bout de la ville sans bruit
    La Rue est blanche, et c'est la nuit.

    La Rue a des maisons étranges
    Avec des persiennes d'Anges.

    Mais, vers une borne, voici
    Accourir, mauvais et transi,

    Un noir Angelot qui titube,
    Ayant trop mangé de jujube.

    Il fait caca : puis disparaît :
    Mais son caca maudit paraît,

    Sous la lune sainte qui vaque,
    De sang sale un léger cloaque !

    Louis Ratisbonne.
    A.Rimbaud.




    MAIS ENFIN


    Mais enfin, c
    Qu'ayant
    Je puisse
    Et du nom
    Rêver la sé
    Le tableau
    Des animau
    Et, loin de
    L'élaborat
    D'un Choler




    LES SOIRS D'ETE


    Les soirs d'été, sous l'oeil ardent des devantures
    Quand la sève frémit sous les grilles obscures
    Irradiant au pied des grêles marronniers,
    Hors de ces groupes noirs, joyeux ou casaniers,
    Suceurs du brûle-gueule ou baiseurs du cigare,
    Dans le Kiosque mi-pierre étroit où je m'égare,
    - Tandis qu'en haut rougoie une annonce d'Ibled, -
    Je songe que l'hiver figera le Tibet
    D'eau propre qui bruit, apaisant l'onde humaine,
    - Et que l'âpre aquilon n'épargne aucune veine.

    François Coppée.
    A. Rimbaud.



    BOUTS-RIMÉS


    lévitique
    un fauve fessier
    matiques,
    enou grossier,

    apoplectiques,
    nassier,
    mnastique,
    n membre d'acier.

    et peinte en bile,
    a sébile
    in,

    n fruit d'Asie,
    saisie,
    ve d'airain.

    A.R.


    AUX LIVRES DE CHEVET

    Livre by Bonvin

    Aux livres de chevet, livres de l'art serein,
    Obermann et Genlis, Vert-Vert et le Lutrin,
    Blasé de nouveauté grisâtre et saugrenue,
    J'espère, la vieillesse étant enfin venue,
    Ajouter le traité du Docteur Venetti.
    Je saurai, revenu du public abêti,
    Goûter le charme ancien des dessins nécessaires.
    Ecrivain et graveur ont doré les misères
    Sexuelles, et c'est, n'est-ce pas, cordial :
    Dr Venetti, Traité de l'Amour conjugal.

    F. Coppée A. R


    HYPOTYPOSES SATURNIENNES, EX BELMONTET

    poster d'epoque


    Quel est donc ce mystère impénétrable et sombre ?
    Pourquoi, sans projeter leur voile blanche, sombre
    Tout jeune esquif royal gréé ?

    ~ ~ ~

    Renversons la douleur de nos lacrymatoires. -
    .........................................
    L'amour veut vivre aux dépens de sa soeur,
    _____

    L'amitié vit aux dépens de son frère.
    .................

    Le sceptre, qu'à peine on révère,
    N'est que la croix d'un grand calvaire -
    Sur le volcan des nations !
    ~ ~ ~

    ...............................................

    Oh ! L'honneur ruisselait sur ta mâle moustache. Belmontet,
    archétype Parnassien


    LES REMEMBRANCES DU VIEILLARD IDIOT

    Rembrandt: Vieil Homme

    Pardon, mon père !
    Jeune, aux foires de campagne,
    Je cherchais, non le tir banal où tout coup gagne,
    Mais l'endroit plein de cris où les ânes, le flanc
    Fatigué, déployaient ce long tube sanglant
    Que je ne comprends pas encore !...

    Et puis ma mère,
    Dont la chemise avait une senteur amère
    Quoique fripée au bas et jaune comme un fruit,
    Ma mère qui montait au lit avec un bruit
    - Fils du travail pourtant, - ma mère, avec sa cuisse
    De femme mûre, avec ses reins très gros où plisse
    Le linge, me donna ces chaleurs que l'on tait !...

    Une honte plus crue et plus calme, c'était
    Quand ma petite soeur, au retour de la classe,
    Ayant usé longtemps ses sabots sur la glace,
    Pissait, et regardait s'échapper de sa lèvre
    D'en bas serrée et rose, un fil d'urine miève !...

    O pardon !
    Je songeais à mon père parfois :
    Le soir, le jeu de carte et les mots plus grivois,
    Le voisin, et moi qu'on écartait, choses vues...
    - Car un père est troublant ! - et les choses conçues !..
    Son genou, câlineur parfois ; son pantalon
    Dont mon doigt désirait ouvrir la fente, ... - oh ! non ! -
    Pour avoir le bout, gros, noir et dur, de mon père,
    Dont la pileuse main me berçait !...

    Je veux taire
    Le pot, l'assiette à manche, entrevue au grenier,
    Les almanachs couverts en rouge, et le panier
    De charpie, et la Bible, et les lieux, et la bonne,
    La Sainte-Vierge et le crucifix...

    Oh ! personne
    Ne fut si fréquemment troublé, comme étonné !
    Et maintenant, que le pardon me soit donné :
    Puisque les sens infects m'ont mis de leurs victimes,
    Je me confesse de l'aveu des jeunes crimes !...
    ............................................
    Puis ! - qu'il me soit permis de parler au Seigneur !
    Pourquoi la puberté tardive et le malheur
    Du gland tenace et trop consulté ? Pourquoi l'ombre
    Si lente au bas du ventre ? et ces terreurs sans nombre
    Comblant toujours la joie ainsi qu'un gravier noir ?

    - Moi j'ai toujours été stupéfait ! Quoi savoir ?
    ..................................................
    Pardonné ?...
    Reprenez la chancelière bleue,
    Mon père.

    O cette enfance ! ................................
    ........................................................
    .....................- et tirons nous la queue !

    François Coppée
    A.R.



    RESSOUVENIR


    Cette année où naquit le Prince impérial
    Me laisse un souvenir largement cordial
    D'un Paris limpide où des N d'or et de neige
    Aux grilles du palais, aux gradins du manège
    Éclatent, tricolorement enrubannés.
    Dans le remous public des grands chapeaux fanés,
    Des chauds gilets à fleurs, des vieilles redingotes,
    Et des chants d'ouvriers anciens dans les gargotes,
    Sur des châles jonchés l'Empereur marche, noir
    Et propre, avec la Sainte espagnole, le soir

    Francois Coppée



    L'ENFANT QUI RAMASSA LES BALLES...

    disegno

    L'enfant qui ramassa les balles, le Pubère
    Où circule le sang de l'exil et d'un Père
    Illustre, entend germer sa vie avec l'espoir
    De sa figure et de sa stature et veut voir
    Des rideaux autres que ceux du Trône et des Crèches.
    Aussi son buste exquis n'aspire pas aux brèches
    De l'Avenir ! - Il a laissé l'ancien jouet.
    O son doux rêve ô son bel Enghien * ! Son oeil est
    Approfondi par quelque immense solitude;
    "Pauvre jeune homme, il a sans doute l'Habitude !"

    François Coppée


    * Parce que "Enghien chez soi" !


    - Ce "Coppée" n'appartient pas à l'album zutique, mais reflète le même esprit. Il date du 10 septembre 1872 et a été écrit à Londres par Rimbaud sur l'album du peintre Félix Régamey.


    LES STUPRA


    LES ANCIENS ANIMAUX...

    [The ancient beasts...]


    Les anciens animaux saillissaient, même en course,
    Avec des glands bardés de sang et d'excrément.
    Nos pères étalaient leur membre fièrement
    Par le pli de la gaine et le grain de la bourse.

    Au moyen âge pour la femelle, ange ou pource,
    Il fallait un gaillard de solide gréement ;
    Même un Kléber, d'après la culotte qui ment
    Peut-être un peu, n'a pas dû manquer de ressource.

    D'ailleurs l'homme au plus fier mammifère est égal ;
    L'énormité de leur membre à tort nous étonne ;
    Mais une heure stérile a sonné : le cheval

    Et le boeuf ont bridé leurs ardeurs, et personne
    N'osera plus dresser son orgueil génital
    Dans les bosquets où grouille une enfance bouffonne.





    NOS FESSES NE SONT PAS LES LEURS...

    [Our buttocks are not theirs...]


    Nos fesses ne sont pas les leurs. Souvent j'ai vu
    Des gens déboutonnés derrière quelque haie,
    Et, dans ces bains sans gêne où l'enfance s'égaie,
    J'observais le plan et l'effet de notre cul.

    Plus ferme, blême en bien des cas, il est pouvu
    De méplats évidents que tapisse la claie
    Des poils ; pour elles, c'est seulement dans la raie
    Charmante que fleurit le long satin touffu.

    Une ingéniosité touchante et merveilleuse
    Comme l'on ne voit qu'aux anges des saints tableaux
    Imite la joue où le sourire se creuse.

    Oh ! de même être nus, chercher joie et repos,
    Le front tourné vers sa portion glorieuse,
    Et libres tous les deux murmurer des sanglots ?





    L'IDOLE.
    SONNET DU TROU DU CUL

    [The Idol]


    Obscur et froncé comme un oeillet violet
    Il respire, humblement tapi parmi la mousse.
    Humide encor d'amour qui suit la fuite douce
    Des Fesses blanches jusqu'au coeur de son ourlet.

    Des filaments pareils à des larmes de lait
    Ont pleuré, sous le vent cruel qui les repousse,
    À travers de petits caillots de marne rousse
    Pour s'aller perdre où la pente les appelait.

    Mon Rêve s'aboucha souvent à sa ventouse ;
    Mon âme, du coït matériel jalouse,
    En fit son larmier fauve et son nid de sanglots.

    C'est l'olive pâmée, et la flûte caline ;
    C'est le tube où descend la céleste praline :
    Chanaan féminin dans les moiteurs enclos !

    Albert Mérat.
    P.V. - A.R.

    ~ Il existe une autre version du poème, parue dans "Hombres" de Verlaine, recueil publié "sous le manteau" chez Messein en 1903.




    Les déserts de l'amour

    Au Desert, by Gerome

    Avertissement
    C'est certes la même campagne...
    Cette fois, c'est la femme que j'ai vue...


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    AVERTISSEMENT

    Ces écritures-ci sont d'un jeune, tout jeune homme, dont la vie s'est développée n'importe où; sans mère, sans pays, insoucieux de tout ce qu'on connaît, fuyant toute force morale, comme furent déjà plusieurs pitoyables jeunes hommes. Mais, lui, si ennuyé et si troublé, qu'il ne fit que s'amener à la mort comme à une pudeur terrible et fatale. N'ayant pas aimé de femmes, quoique plein de sang ! - il eut son âme et son coeur, toute sa force, élevés en des erreurs étranges et tristes. Des rêves suivants, - ses amours ! - qui lui vinrent dans ses lits ou dans les rues, et de leur suite et de leur fin, de douces considérations religieuses se dégagent - peut-être se rappellera-t-on le sommeil continu des Mahométans légendaires, - braves pourtant et circoncis ! Comme Mais, cette bizarre souffrance possédant une autorité inquiétante, il faut sincèrement désirer que cette âme, égarée parmi nous tous, et qui veut la mort, ce semble, rencontre en cet instant-là des consolations sérieuses et soit digne !

    A. Rimbaud


    Texte de l'autographe de la Bibliothèque Nationale, ancienne collection Barthou.




    C'EST CERTES LA MEME CAMPAGNE...

    C'est certes la même campagne. La même maison rustique de mes parents : la salle même où les dessus de porte sont des bergeries roussies, avec des armes et des lions. Au dîner, il y a un salon, avec des bougies et des vins et des boiseries rustiques. La table à manger est très-grande. Les servantes ! Elles étaient plusieurs, autant que je m'en suis souvenu. - Il y avait là un de mes jeunes amis anciens, prêtre et vêtu en prêtre, maintenant : c'était pour être plus libre. Je me souviens de sa chambre de pourpre, à vitres de papier jaune : et ses livres, cachés, qui avaient trempé dans l'océan !

    Moi j'étais abandonné, dans cette maison de campagne sans fin : lisant dans la cuisine, séchant la boue de mes habits devant les hôtes, aux conversations du salon : ému jusqu'à la mort par le murmure du lait du matin et de la nuit du siècle dernier.

    J'étais dans une chambre très sombre : que faisais-je ? Une servante vint près de moi : je puis dire que c'était un petit chien : quoiqu'elle fût belle, et d'une noblesse maternelle inexprimable pour moi : pure, connue, toute charmante ! Elle me pinça le bras.

    Je ne me rappelle même plus bien sa figure : ce n'est pas pour me rappeler son bras, dont je roulai la peau dans mes deux doigts : ni sa bouche, que la mienne saisit comme une petite vague désespérée, minant sans fin quelque chose. Je la renversai dans une corbeille de coussins et de toiles de navire, en un coin noir.


    Texte de l'autographe de la Bibliothèque Nationale, ancienne collection Barthou.




    CETTE FOIS, C'EST LA FEMME...


    Cette fois, c'est la Femme que j'ai vue dans la ville, et à qui j'ai parlé et qui me parle. J'étais dans une chambre sans lumière. On vint me dire qu'elle était chez moi : et je la vis dans mon lit, toute à moi, sans lumière ! Je fus très ému, et beaucoup parce que c'était la maison de famille : aussi une détresse me prit ! j'étais en haillons, moi, et elle, mondaine, qui se donnait ; il lui fallait s'en aller ! Une détresse sans nom, je la pris, et la laissai tomber hors du lit, presque nue ; et dans ma faiblesse indicible, je tombai sur elle et me traînai avec elle parmi les tapis sans lumière. La lampe de la famille rougissait l'une après l'autre les chambres voisines. Alors la femme disparut. Je versai plus de larmes que Dieu n'en a pu jamais demander.

    Je sortis dans la ville sans fin. O Fatigue ! Noyé dans la nuit sourde et dans la fuite du bonheur. C'était comme une nuit d'hiver, avec une neige pour étouffer le monde décidément. Les amis auxquels je criais : où reste-t-elle, répondaient faussement. Je fus devant les vitrages de là où elle va tous les soirs : je courais dans un jardin enseveli. On m'a repoussé. Je pleurais énormément, à tout cela. Enfin je suis descendu dans un lieu plein de poussière, et assis sur des charpentes, j'ai laissé finir toutes les larmes de mon corps avec cette nuit. - Et mon épuisement me revenait pourtant toujours.

    J'ai compris qu'elle était à sa vie de tous les jours ; et que le tour de bonté serait plus long à se reproduire qu'une étoile. Elle n'est pas revenue, et ne reviendra jamais, l'Adorable qui s'était rendue chez moi, - ce que je n'aurais jamais présumé. - Vrai, cette fois, j'ai pleuré plus que tous les enfants du monde.


    Texte de l'autographe de la Bibliothèque Nationale, ancienne collection Barthou.




    PROSES ÉVANGÉLIQUES

    La tentazione di Cristo, di Bloch
    À Samarie, plusieurs ont manifesté leur foi en lui...
    L'air léger et charmant de la Galilée...
    Bethsaïda, la piscine des cinq galeries...



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    À Samarie

    A Samaria, di Bloch

    A Samarie, plusieurs ont manifesté leur foi en lui. Il ne les a pas vus. Samarie [s'enorgueillissait] la parvenue [la perfide], l'égoïste, plus rigide observatrice de sa loi protestante que Juda des tables antiques. Là la richesse universelle permettait bien peu de discussion éclairée. Le sophisme, esclave et soldat de la routine, y avait déjà après les avoir flattés, égorgé plusieurs prophètes.

    C'était un mot sinistre, celui de la femme à la fontaine : "Vous êtes prophètes, vous savez ce que j'ai fait."

    Les femmes et les hommes croyaient aux prophètes. Maintenant on croit à l'homme d'état.

    À deux pas de la ville étrangère, incapable de la menacer matériellement, s'il était pris comme prophète, puisqu'il s'était montré là si bizarre, qu'aurait-il fait ?

    Jésus n'a rien pu dire à Samarie.


    Autographe de la collection Jacques Guérin.



    L'air léger et charmant de la Galilée...

    Cacciata dal Tempio, di Bloch

    L'air léger et charmant de la Galilée : les habitants le reçurent avec une joie curieuse : ils l'avaient vu, secoué par la sainte colère, fouetter les changeurs et les marchands de gibier du temple. Miracle de la jeunesse pâle et furieuse, croyaient-ils.

    Il sentit sa main aux mains chargées de bagues et à la bouche d'un officier. L'officier était à genoux dans la poudre : et sa tête était assez plaisante, quoique à demi chauve.

    Les voitures filaient dans les étroites rues [de la ville] ; un mouvement, assez fort pour ce bourg; tout semblait devoir être trop content ce soir-là.

    Jésus retira sa main : il eut un mouvement d'orgueil enfantin et féminin: "Vous autres, si vous ne voyez [point] des miracles, vous ne croyez point."

    Jésus n'avait point encor fait de miracles. Il avait, dans une noce, dans une salle à manger verte et rose, parlé un peu hautement à la Sainte Vierge. Et personne n'avait parlé du vin de Cana à Capharnaum, ni sur le marché, ni sur les quais. Les bourgeois peut-être.

    Jésus dit : "Allez, votre fils se porte bien". L'officier s'en alla, comme on porte quelque pharmacie légère, et Jésus continua par les rues moins fréquentées. Des liserons [oranges], des bourraches montraient leur lueur magique entre les pavés. Enfin il vit au loin la prairie poussiéreuse, et les boutons d'or et les marguerites demandant grâce au jour.


    Autographe de la collection Jacques Guérin.



    Bethsaïda

    Bethsaida, di Bloch

    Bethsaïda, la piscine des cinq galeries, était un point d'ennui. Il semblait que ce fût un sinistre lavoir, toujours accablé de la pluie et moisi, et les mendiants s'agitaient sur les marches intérieures blêmies par ces lueurs d'orages précurseurs des éclairs d'enfer, en plaisantant sur leurs yeux bleus aveugles, sur les linges blancs ou bleus dont s'entouraient leurs moignons. O buanderie militaire, ô bain populaire. L'eau était toujours noire, et nul infirme n'y tombait même en songe.

    C'est là que Jésus fit la première action grave ; avec les infâmes infirmes. Il y avait un jour, de février, mars ou avril, où le soleil de 2 h ap. midi, laissait s'étaler une grande faux de lumière sur l'eau ensevelie, et comme, là-bas, loin derrière les infirmes, j'aurais pu voir tout ce que ce rayon seul éveillait de bourgeons et de cristaux, et de vers, dans ce reflet, pareil à un ange blanc couché sur le côté, tous les reflets infiniment pâles remuaient.

    Les infirmes avaient alors le desir de sillonner l'eau de la piscine.
    Alors tous les péchés, fils légers et tenaces du démon, qui pour les coeurs un peu sensibles, rendaient ces hommes plus effrayants que les monstres, voulaient se jeter à cette eau. Les infirmes descendaient, ne raillant plus ; mais avec envie.

    Les premiers entrés sortaient guéris, disait-on. Non. Les péchés les rejetaient sur les marches ; et les forçaient de chercher d'autres postes : car leur Démon ne peut rester qu'aux lieux où l'aumône est sûre.

    Un signe de vous, ô volonté divine et toute obéissance est prévue presque avant vos signes.
    Jésus entra aussitôt après l'heure de midi. Personne ne lavait ni ne descendait de bêtes. La lumière dans la piscine était jaune comme les dernières feuilles des vignes. Le divin maître se tenait contre une colonne : il regardait les fils du Péché ; le démon tirait sa langue en leur langue ; et riait ou niait.

    Le Paralytique se leva, qui était resté couché sur le flanc. et ce fut d'un pas singulièrement assuré qu'ils le virent franchir la galerie et disparaître dans la ville, les Damnés.


    Autographe de la collection Jacques Guérin.





    Un piu' maturo Rimbaud, da un ritratto fatto da Isabelle


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